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Auschwitz, il drammatico racconto di Emanuele Fiano sul padre Nedo

A due giorni dalla ‘Giornata della Memoria’ il politico Emanuele Fiano, al ‘Corriere della Sera’, ha parlato della disavventura vissuta ad Auschwitz da parte del padre Nedo 

Era uno degli ultimi sopravvissuti di Auschwitz. Il suo cuore smise di battere nel dicembre di quattro anni fa. La figura di Nedo Fiano non è mai stata dimenticata. Quest’ultimo visse le pene dell’inferno nel campo di concentramento. A ricordare quell’orribile periodo, grazie ad alcuni racconti che gli erano stati rivelati, ci ha pensato suo figlio Emanuele. L’ex esponente del Partito Democratico ne ha parlato in una intervista rilasciata al ‘Corriere della Sera‘.

Il racconto di Emanuele Fiano sul padre Nedo (Ansa Foto) Roma.cityrumors.it

Una esperienza, quella vissuta al lager, che lo ha inevitabilmente segnato. Sia da un punto di vista (poco) positivo che negativo. Dopo anni terribili, alla fine della guerra, ebbe la forza di ricominciare da capo. In primis quello di avere una famiglia. Lui che aveva perso i suoi genitori proprio lì. A 18 anni rimase orfano. Poi la promessa a sua madre: ovvero che si sarebbe laureato. Nedo ci riuscì in Lingue e Letterature straniere alla Bocconi.

Auschwitz, Emanuele Fiano sul padre: “Tatuaggio? Altro che numero di telefono”

L’ex deputato lo ricorda con commozione ed, ovviamente, ammirazione. Soprattutto per i tantissimi sacrifici che ha fatto per sé stesso ma soprattutto per la famiglia. In quel di Firenze rincontrò una sua amica, Rita Lattes, che successivamente diventò sua moglie: “In lei rivide la figura femminile da amare per la vita. Una persona che poteva prendere il posto della madre. La chiamava proprio così’, “madre“.

Nedo Fiano, il padre dell’ex deputato Emanuele (Ansa Foto) Cityrumors.it

Quel “A5405” che aveva tatuato sul braccio. Il suo numero quando si trovava al campo di concentramento. Un periodo che il padre non ha mai (ovviamente) ricordato con piacere visto che ne ha parlato poco con i suoi figli. Emanuele Fiano, quando era più piccolo, credeva alla “storia” che quel numero fosse in realtà quello di casa. Poi la scoperta sui libri che dicevano tutt’altro. Nel ’77, in una conferenza in una sala della comunità ebraica, rivelò tutto quello che subì.

Il padre parlava sempre di un “famoso” profumo che un uomo utilizzava. Non un uomo qualunque, ma colui che gli salvò la vita e lo liberò dal campo di concentramento: “Erano le saponette Lifebuoy all’arancia. Mio padre le comprava al mercato di Livorno dagli americani. Gli ricordano l’uomo che lo salvò dalla baracca Un profumo che sapeva di liberazione e che, a distanza di tempo, mi tiene ancora legato a lui in modo inspiegabile“.