Giancarlo Oddi ricorda ai nostri microfoni Giorgio Chinaglia, che oggi avrebbe compiuto 76 anni: “Era il leader e l’artefice di ogni nostro successo”.
Oggi avrebbe compiuto 76 anni. Per ricordarlo, la Lazio, la Lega Serie A e i principali organi nazionali, ne hanno onorato la memoria. Perchè Giorgio Chinaglia, nato a Massa Carrara il 24 gennaio del 1947, ha rappresentato una fetta importante di storia del calcio italiano. La più emozionante, stravagante e ricca di pathos. Chinaglia è l’uomo che ha sfidato la sorte, raggiungendo la famiglia in Galles e provando a cambiare il destino. E’ quello che a Napoli è diventato calciatore e che a Roma si è affermato. E’ stata la figura capace di esaltare e tirare fuori dal guscio un intero popolo, portando la Lazio dove non era mai riuscita ad arrivare.
In oltre centoventiquattro anni di storia, Giorgio Chinaglia è stato uno dei giocatori più amati dal pubblico biancoceleste. O forse sarebbe più giusto dire che difficilmente troveremo un calciatore a cui i tifosi hanno voluto più bene. Chinaglia è riuscito a farsi amare e idolatrare, diventando un punto di riferimento. In un periodo difficile, con la Lazio perennemente in lotta tra la serie A e i cadetti, Chinaglia riuscì a fare riemergere la vera essenza della lazialità! Con i suoi gol, il suo carattere da leader, i suoi atteggiamenti da indomito guerriero, fece uscire fuori dal guscio un popolo che sembrava schiacciato dai rivali.
Ecco spiegati i motivi che ne hanno fatto un idolo per i suoi tifosi e un nemico da sconfiggere in tutti i modi (anche ai limiti della legge) per gli avversari cittadini. Chinaglia è stato il leader della Lazio scudetto. Il figlio adottivo di Maestrelli, che lo ospitò spesso a casa sua e che cercava in tutti i modi di tranquillizzare, proteggere ed esaltare. Il capocannoniere della squadra e del campionato. Il centravanti temuto e fischiato da tutte le tifoserie italiane. L’avversario, o forse meglio dire il nemico, che i romanisti aspettavano sotto casa e che lui allontanava sparando colpi di pistola per aria. Il giocatore che sfidò un’intera curva romanista esultando sotto di loro con il dito alzato dopo un gol, o quello che all’ingresso in campo metteva il piede fuori dal sottopassaggio sfidando i tifosi avversari a colpirlo, lanciandogli di tutto. L’unico giocatore ad essere convocato in nazionale (bagnando il suo esordio con un gol) nonostante giocasse in serie B.
“Chi non ha conosciuto Giorgio Chinaglia è stato sfortunato”, ricorda ai nostri microfoni il suo ex compagno e amico Giancarlo Oddi. I due hanno vissuto anni meravigliosi insieme. Erano parte di uno dei spogliatoi di Tor Di quinto. La leggenda narra di due gruppi ben divisi. Da una parte Chinaglia con Wilson e Oddi, dall’altra Re Cecconi con Martini. Se un gruppo a pranzo ordinava il primo, l’altro doveva mangiare carne. Se un componente di un gruppo rimaneva senza shampoo e provava a chiederlo ad uno dell’altro spogliatoio, rischiava di essere malmenato. Ma in campo, Maestrelli era in grado di ritrovare l’alchimia giusta. “Giorgio era un goleador straordinario, sul campo c’è poco da aggiungere perchè i suoi numeri li hanno visti tutti. A me piace ricordare l’amico, il fratello. Giorgio era una persona eccezionale. La gente che non l’ha conosciuto è stata sfortunata. Era uno spasso, quando stavi con lui. Era divertente in ogni cosa”, continua Oddi.
I suoi compagni di squadra sapevano come prenderlo. “Noi poi lo tormentavamo perchè, nonostante fosse in Italia da tanti anni gli era rimasto lo slang inglese e a volte se ne usciva con certi termini a metà tra l’italiano e l’inglese che ci facevano morire dal ridere. C’era Mario Facco che si annotava tutto su un quaderno e ogni tanto lo tirava fuori per divertirci insieme. E lui stava allo scherzo come pochi, nonostante il suo carattere. Era il leader in campo e lo era tra i tifosi che trascinava ovunque”.
Chinaglia era una figura di eccezionale importanza all’interno del gruppo. Sapeva attirare intorno a se, oneri e onori: “Giorgio è stato l’artefice di tutto quello che accadeva in quegli anni. Artefice delle vittorie e delle nostri liti a Tor di Quinto. Aveva un’indole da guerriero, ma un carattere da buono, forse anche troppo buono. Era troppo forte. Ripeto, chi non l’ha conosciuto non può capire quello che si è perso. Io l’ho sempre visto come un immortale, perchè era forte, fisicamente e di testa. Un guascone, uno che se c’era un problema faceva di tutto per aiutarti a risolverlo. Era sempre pronto a darti una mano, magari sbagliando, perchè a volte quando ti dava una mano piuttosto che risolvere il problema lo accentuava (ride), ma sapevi che potevi contare sempre su di lui. E tutti si affidavano a lui, dai compagni ai magazzinieri, fino ai dirigenti. Giorgio c’era sempre per tutti. Per me era un fratello”.