Clausole del CA…Cs! Il rischio deriva dal non sapere cosa si fa

Dopo il grandissimo successo del BTP Italia, da oggi, come molti sapranno, inizierà il collocamento del BTP Futura da parte del Tesoro Italiano. Molti siti e testate giornalistiche osannano questo tipo di strumento. Molti risparmiatori che si recheranno nei prossimi giorni in una filiale bancaria, verranno probabilmente incentivati all’acquisto come al mercato del pesce. Senza entrare nel tema della convenienza o meno, come spesso diciamo ai nostri lettori, attenti alle insidie che possono celarsi dietro l’acquisto di un qualsiasi titolo quotato sul mercato.
Oggi parliamo delle clausole CACs (clausole di azione collettiva), introdotte a partire dal gennaio 2013 in tutta l’Unione Europea, pur essendo ignote a gran parte degli stessi piccoli investitori che acquistano titoli di stato all’atto della loro emissione o sul mercato secondario.
Le CAC consentono agli emittenti europei di:
1) ridurre il valore nominale del titolo alla scadenza (“haircut”);
2) allungare le scadenze dei titoli (“roll-over”);
3) modificare il metodo di calcolo di qualsiasi pagamento relativo ai titoli;
4) cambiare la valuta di rimborso dei titoli alla scadenza e/o con cui venga effettuato qualsiasi pagamento in relazione al titolo;
5) modificare ogni altra condizione sugli obblighi di pagamento da parte dell’emittente.

Un assaggio si ebbe in Grecia ancor prima che la nuova disciplina entrasse in vigore ed esattamente con l’applicazione retroattiva della ristrutturazione di titoli di Stato per un controvalore nominale complessivo di 200 miliardi di euro. Tali bond furono decurtati del 53,5% e allungati nelle scadenze tra gli 11 e i 20 anni. Grazie a tale “haircut”, Atene risparmiò 107 miliardi di euro. La scure colpì i soli bond posseduti dagli investitori privati, non anche quelli in mano alla BCE, all’Efsf e al Fondo Monetario Internazionale, ossia i creditori pubblici facenti parte della cosiddetta Troika.

Tornando al caso nostrano, poniamo una domanda che, seppur remota, è sempre lecito porsi…

Se l’Italia tornasse alla lira?
I titoli di Stato detenuti dai risparmiatori potrebbero essere convertiti dallo Stato in lire e a un tasso di cambio potenzialmente sfavorevole. Il cambio fissato a partire dall’1 gennaio 1999 fu di 1.936,27, per cui un investitore che abbia investito 100.000 euro avrebbe diritto a riscuotere 193.627.000 lire. Tuttavia, se nel frattempo la lira si svalutasse contro l’euro del 25%, salendo a un cambio di 2.600, il capitale rimborsato equivarrebbe al nuovo cambio solo a 74.472 euro. Insomma, subirebbe la svalutazione per intero.

Cosa impariamo da questo?
1) Diversificare è meglio che curare… Se acquistassi il BTP Futura al fine di ottenere quanto promesso dovrei tenerlo fino alla scadenza prevista tra 10 anni. A questo punto la domanda provocatoria sorge spontanea…ma in 10 anni non è meglio un piano di accumulo su un portafoglio ben diversificato (in termini di scadenze, emittente, ecc)?
2) Con la speranza che questo nuovo collocamento dia ossigeno allo Stato Italiano e sperando nelle parole profetiche di Lucio Dalla che recita “se nascerà una stella, si chiamerà Futura!”, consigliamo sempre di evitare la strategia del fai-da-te molto spesso legata ad analisi superficiali che potrebbero portare l’investitore a non accorgersi delle insidie nascoste dietro l’angolo!

Articolo a cura del Dott. Paolo Matteucci e della redazione di Stop Loss

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