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Empatia e Comunicazione

L’ingrediente segreto: un linguaggio che cambia il modo di pensare e di vedere noi stessi nel mondo

L’ingrediente segreto

Frasi ad effetto su come gestire la propria vita, su come essere felici, regole del matrimonio perfetto, del lavoro perfetto, della vita perfetta. Slogan di incitamento, testimonianze di chi ha capito l’ingrediente segreto della felicità. Le persone si affannano ad aggiustare il tiro, a provarci, poi a cadere, e a non mostrare neanche a sé stessi quanto inarrivabili siano questi modelli di perfezione. Queste frasi a impatto, questi slogan spesso sono utilizzati per manipolare, per indirizzare verso una corrente o addirittura un prodotto da acquistare, verso un modello statico e chiaramente inarrivabile di perfezione, di performance al 110%, “per non fermarti mai”, come recita una pubblicità per prodotti femminili, che invece non permette né di cambiare né di osservare come possiamo rendere unica e irripetibile la nostra esperienza di vita. Al contrario, lo stesso “fermarci” risulta sconveniente nella nostra cultura nonché deludente se non sappiamo su cosa! Il paradosso è che i messaggi ripetono che “tu sei unico”, ma poi incitano a seguire un modello che ti rende identico agli altri, immutabile, ovvero controllabile. Con la conseguente schizofrenica oscillazione tra il perdersi nella massa e la fuga da tutto e tutti.

È possibile invertire questo pensiero e cambiare la prospettiva della vita stessa? Partendo da assunti diversi sì: noi siamo tutti uguali, mossi dagli stessi bisogni, ma il modo in cui li soddisfacciamo, le strategie che intraprendiamo, e le relazioni che creiamo con gli atri, il movimento e il cambiamento che generiamo, e quindi le relazioni che costruiamo, a partire da quella con noi stessi, ecco tutto questo rende noi e le nostre relazioni autentiche, irripetibili e libere! Dove tutti questi aggettivi non sono riferiti a un ideale, a uno schema, ma adattati alle esigenze, ai valori, al “qui ed ora” di ognuno di noi. E ognuno di noi è fatto di realtà che ci circonda, di sentimenti, di bisogni e di strategie per soddisfarli. Potrebbe sembrare che siamo tutti mossi da noiosi bisogni che si ripetono. È proprio così! Ma il modo di soddisfarli, come comunichiamo e come costruiamo strategie comuni che soddisfino i bisogni di tutti nelle relazione, beh, questa è arte!

Ecco che si definisce l’ingrediente: un linguaggio che cambia il modo di pensare il mondo e il modo di vedere noi stessi al suo interno. Che ci aiuta a risolvere i conflitti a qualsiasi livello, a vivere una vita connessa con quello che siamo nel profondo e a creare relazioni nutrienti in qualsiasi ambito: personale, intimo, lavorativo, politico. E a qualsiasi livello: gerarchico, nelle relazioni genitori/figli, insegnante/alunno, manager/impiegato; e in ogni sfera sociale. Questo può succedere nel momento in cui ci riconosciamo come esseri umani, e non per l’etichetta che ci appiccichiamo o che ci lasciamo appiccicare. Inizieremo a parlare, a comunicare, a costruire relazioni creative con persone, e questo vedremo: la persona che abbiamo davanti, non il figlio, il marito, il capo, la poliziotta, il detenuto, la donna, la madre, il prete, il malato, con tutti i pregiudizi che ci impediscono di connetterci.

Da questo dipinto sociale linguistico prende forma la comunicazione non violenta di Marshall Rosenberg, e ci permette di lavorare su qualcosa di estremamente semplice, naturale, che ci appartiene biologicamente, ma che ci hanno educato ad abbandonare per seguire i modelli statici delle strutture sociali in cui siamo inseriti. Modelli di bellezza, di normalità, di genitorialità, di perfezione, di bontà. Per una società questo si rende necessario se si vogliono mantenere le strutture di potere, così anche il linguaggio è stato adeguato a questi modelli. Infatti il modo di parlare a noi stessi e agli altri, e che incide sul modo di pensare il mondo e le relazioni, è continuamente oscillatorio tra i poli opposti di queste strutture. Cioè si valuta e si giudica se si è dentro o fuori il modello, di giusto o sbagliato, di bello o di brutto, di ragione o di torto, di onesto o disonesto, per poi punire o premiare e noi stessi con la depressione e l’altro, con la rabbia . Spesso ci chiediamo perché un semplice scambio di opinioni scada nel conflitto sterile, o perché siamo in scontro con le persone a noi più care. Non è il sentimento a determinare l’andamento della relazione ma è la comunicazione. Perché già a partire da ciò che succede noi diamo una valutazione, un giudizio. Questa è la prima semplice componente della comunicazione non violenta: l’osservazione, non giudicante di quello che è successo e che ha suscitato in noi una reazione. Ed ecco la seconda componente. La reazione è una emozione, un allarme che ci indica che ciò che succede fuori ha stimolato qualcosa in noi. Lo stimolo è quello che succede al di fuori, quello che l’altro ha fatto ad esempio, ma la causa è da ricercare al nostro interno. E siamo alla terza componente, il bisogno. La nostra emozione è causata da un bisogno interno che non è soddisfatto e che, contattandolo, ci offre l’opportunità di connetterci a noi stessi e di poter arrivare ad una richiesta, quarta componente. La richiesta consiste in una delle molteplici possibilità di soddisfazione di un nostro bisogno. Attraverso il recupero di questo linguaggio naturale siamo su un altro piano, di pensiero e di interazione, in cui non è importante stabilire chi ha ragione o torto, e nemmeno ottenere quello che vogliamo. L’attenzione viene posta sulla relazione stessa, cercando di nutrirla attraverso l’empatia e l’ideazione di strategie che soddisfino i bisogni di tutti. Tenendo presente che non ci sono bisogni in contrapposizione, ma strategie. Una volta realizzato profondamente questo, una volta che ci siamo connessi con noi stessi e con l’altro, si lavora insieme per l’adozione di strategie comuni e soddisfacenti. Anche il più banale dei diverbi può essere preso come punto di partenza per dare un’impronta creativa e costruttiva alla vostra relazione. Spesso anche nelle relazioni più intime utilizziamo l’altro per ottenere il soddisfacimento dei nostri bisogni. Cambiando prospettiva e mettendo l’attenzione sulla relazione anche i nostri bisogni verranno soddisfatti, ma in più avremo nutrito relazioni creative e abbondanti di significato.

“Che l’altro sia il fine, non il mezzo”

Dott.ssa Elisa Chiarotto
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