Lunedì 3 dicembre, ore 17.00, presso la Biblioteca Cornelia verrà proiettato “Mena”, documentario di denuncia sul gasdotto TAP.
Seguirà il dibattito ed approfondimento con Maria Cristina Fraddosio, giornalista freelance e autrice del documentario. Parteciperanno al dibattito Maria Cristina Fraddosio e Paolo Cerrone dell’Ass. Officine Culturali Roma Nord/Ovest.
Il vocabolo “mena” costituisce un universo condensato di significati che trova le sue radici nel dialetto salentino. In una delle accezioni di questa parola trova riscontro l’urgenza di informare sulle violazioni in corso e lanciare un appello di solidarietà.
Il documentario, realizzato con la collaborazione di Martina Martelloni e Mauro Petito, è una testimonianza di immagini e racconti provenienti dall’area interessata a questa mega costruzione infrastrutturale il cui futuro è ancora oggetto di grande attenzione.
La voce di un contadino fa da controcanto alle proteste avvenute tra il 2017 e il 2018 a Melendugno, in Salento, punto di arrivo del gasdotto Tap proveniente dall’Azerbaijan. Testimonianze dirette degli attivisti si alternano a quelle istituzionali. L’affare da 45 miliardi di dollari, dichiarato strategico dall’Unione Europea, ha stravolto la vita di un piccolo comune di diecimila abitanti.
Mentre la magistratura indaga sull’ipotesi che sia stata aggirata una direttiva europea sulla sicurezza dell’impianto, che sorgerà a poche centinaia di metri dalle abitazioni, i lavori per realizzare l’opera continuano in gran fretta sotto la sorveglianza di centinaia di forze dell’ordine in tenuta antisommossa. Scontri, violenza, percosse, sono oramai tristi consuetudini per quella che, un tempo, era conosciuta come una tranquilla località di vacanza a ridosso di una delle più belle spiagge d’Europa.
Il documentario si sviluppa attraverso il racconto dell’uomo che ha ceduto il suo terreno agli attivisti per consentirgli di presidiare l’area limitrofa al cantiere. Un flusso di coscienza lo riporta all’infanzia, quando le campagne erano presidiate dai militari nel Dopoguerra.
Sicurezza, democrazia, ambiente, vengono alla ribalta attraverso una denuncia che a tratti si fa poetica e letteraria, per mezzo della tradizione e della storia di una terra abitata da un popolo che Tommaso Fiore assimilò alle formiche e che ha per antenati i contadini che nel 1952 si opposero ai soprusi dello Stato attraverso una lunga e dolorosa resistenza, sublimata poi nei versi di Vittorio Bodini.
Dalla visione del documentario e dalla lettura dei contributi che l’autrice ha prodotto presso diverse testate giornalistiche, si evince che l’intera partita del gasdotto esula da una singola rivendicazione di tipo ambientale (10.000 ulivi da ripiantare a poche centinaia di metri da dove vengono estirpati) per svelare un formidabile piano di servitù energetica nel confronti dell’Europa, e quindi di forti interessi finanziari ad onta delle conseguenze e dei rischi certificati da autorevoli fonti, che questa mega opera comporterà non solo per il territorio pugliese e per la sua popolazione, ma per l’intero arco appenninico.