Una decisione che fa discutere e che ha portato la famiglia di Desirèe a protestare: “Resta l’accusa di omicidio, ma ci sono aspetti che faranno discutere”
Nuova svolta nel processo per la morte di Desirèe Mariottini, la 16enne di Cisterna di Latina drogata, violentata e trovata cadavere in via dei Lucani, una delle zone più frequentate del quartiere San Lorenzo. A cinque anni dal suo omicidio (che è stato ricordato tre giorni fa nel quartiere di San Lorenzo da una cerimonia che ha visto la presenza del sindaco Gualtieri e della madre della ragazza uccise, la Corte Corte di Cassazione ha annullato le condanne per i quattro imputati. Sarà necessario fare un secondo processo.
Barbara Mariottini, la mamma della 16enne aveva dichiarato lo scorso 18 ottobre : “È un dolore disumano tornare in questo quartiere dove Desirèe mi è stata portata via, ma oggi vedendo i giovani e i loro sorrisi penso che ci sia ancora speranza. Il mio augurio sincero è che le cose possano cambiare qui e ovunque, un bacio a te lassù”. Parole alle quali seguirono quelle del sindaco Gualtieri. ” Desirèe è stata strappata brutalmente alla vita. Siamo qui per ricordarla e dire il nostro no alla violenza sulle donne e ai femminicidi ma anche a presentare tanti progetti su San Lorenzo, da quello di via dei Lucani al lavoro straordinario dell’associazione dei giovani che qui sta riqualificando questo parco a largo Passamonti, a tanti altri interventi come la pedonalizzazione di piazzale del Verano. Siamo al lavoro per fare di San Lorenzo un quartiere bellissimo, vivo, animato ma sicuro, riqualificato e polo pulsante di una città più vicina alle persone”.
Per la morte di Desirèe vennero condannate quattro persone. Mamadou Gara e Yousef Salia all’ergastolo, Brian Minthe a 27 anni di carcere e Alinno Chima a 24 anni e sei mesi. Le accuse nei loro confronti erano a vario titolo di omicidio, violenza sessuale e spaccio di sostanze stupefacenti. I giudici della della Suprema Corte hanno rinviato gli atti in Appello per Mamadou Gara che in appello era stato condannato all’ergastolo, solo per l’ accusa di omicidio. Appello bis disposto anche per Brian Minthe per l’accusa di cessione di stupefacenti, dove è caduta l’aggravante insieme a Alinno Chima ch erano stati condannati rispettivamente a 27 anni e a 24 anni e mezzo di carcere. Yousef Salia, che era stato condannato all’ergastolo nei giudizi di merito, è stato assolto dall’accusa di violenza sessuale, ma è stata confermata l’accusa di spaccio.
“E’ un dispositivo complesso, andranno lette le motivazioni relativamente ai giudizi di rinvio – ha dichiarato Claudia Sorrenti, avvocato della zia di Desiree –. Quello che ha sconvolto la madre e i familiari è la non conferma dell’accusa di violenza sessuale per uno dei impuntati anche se resta la condanna all’ergastolo. E’ una sentenza che farà discutere anche se l’accusa di omicidio ha retto per tre imputati”. Il Pg. al termine della requisitoria, aveva chiesto la conferma delle condanne già emesse il 21 novembre 2022. Durante la ricostruzione, sono state ripercorse le posizioni di tutti gli imputati chiedendo alla Corte di rigettare i ricorsi o le varie richieste di rimodulazione avanzate dai difensori degli imputati. I quattro, tutti cittadini originari dell’Africa, sono rispondono dell’accusa di aver drogato, violentato e ucciso la ragazzina all’interno della baracca “del buco”, dove la 16enne venne trovata morta. La difesa ha ricordato come i quattro imputati, dopo aver somministrato a Desirèe un cocktail letale di farmaci e droga, abusarono di lei fino per poi abbandonarla in fin di vita su un materassino dove poi, venne ritrovata morta il giorno seguente.
Una fine tragica in cui fu determinate, secondo l’accusa portata avanti dalla Procura, il ruolo svolto dai quattro. In base all’impianto accusatorio, gli imputati, con ruoli diversi, non fecero sostanzialmente nulla, non mossero un dito per cercare di salvare la vita alla ragazza originaria della provincia di Latina. “Lo stato di semi incoscienza in cui versava le impedì anche di rivestirsi. Desiree respirava appena e nonostante fosse incosciente – disse il procuratore generale nel corso del primo processo di appello – gli imputati rimasero indifferenti. Dicevano che si stava riposando pur sapendo che aveva assunto sostanze e si mostrarono minacciosi verso chi tra i presenti voleva chiamare i soccorsi fino a pronunciare la terribile frase: ‘Meglio lei morta che noi in galera’“.
Nella sentenza di primo grado del giugno 2021, venne specificato che, “non si trattò solo della cinica e malevola volontà di non salvare la giovane dall’intossicazione – scrive il tribunale – di cui loro stessi erano stati autori e di impedire le indagini delle violenze da lei subite, ma in forma più estesa, di conservare la propria ‘casa’ e le proprie fonti di ‘reddito’, oltre ad un tranquillo e sostanzialmente indisturbato luogo di consumo degli stupefacenti, che rendeva eccezionale e noto quel rifugio“. Toccherà ora di nuovo ai giudici di secondo grado di piazzale Clodio vagliare la responsabilità di alcuni dei quattro imputati.
Uno dei testimoni, ricordò: “Sono arrivato lì a mezzanotte o mezzanotte e mezza e c’era una ragazza che urlava. Ho guardato quella che urlava e c’era un’altra ragazza a letto: le avevano messo una coperta fino alla testa ma si vedeva la testa. Non lo so se respirava, sembrava già morta, perché l’altra ragazza urlava e diceva che era morta. C’erano africani e arabi, sei o sette persone. Anche un’altra ragazza era lì e parlava romano. Urlava che l’hanno violentata, poi lei ha anche preso qualche droga perché lì si vende la droga. Da quello che diceva lei sono stati tre sicuramente o quattro”.