La reazione della Polizia dopo la rivolta scatenatasi all’interno del carcere di Regina Coeli: “Situazione al collasso, è ora di agire”
“La situazione all’interno del carcere di Regina Coeli e delle carceri italiane è arrivata ormai al collasso. Quello che è successo ieri a Roma ne è un ulteriore esempio”. Donato Capece, segretario generale del Sappe, il sindacato della Polizia Penitenziaria, lancia in esclusiva ai nostri microfoni, l’ennesimo allarme legato al sovraffollamento e ai tanti problemi che riguardano il mondo carcerario.
Ieri l’ultimo episodio, accaduto all’interno del carcere di Regina Coeli a Roma. La rivolta, scoppiata nell’ VIII sezione, ha portato i detenuti a far esplodere delle bombole del gas, utilizzate per cucinare. Alcune celle sono state date alle fiamme. L’incendio, ben visibile anche all’esterno della struttura, ha costretto i vigili del fuoco ad intervenire. Non si tratta del primo episodio all’interno della struttura capitolina, dove si vive una situazione di sovraffollamenti di oltre seicento detenuti, oltre ai problemi legati alla carenza del personale.
“Ormai i problemi all’interno di Regina Coeli – continua Capece in esclusiva a Roma.Cityrumors – non fanno più notizia. Ci stiamo quasi abituando. La situazione è grave e non può essere risolta parlando esclusivamente del sovraffollamento”.
Quali sono gli altri problemi?
“C’è un chiaro pressing politico, da parte del Governo, per ottenere l’indulgenza. Il problema è che i danni, che a Regina Coeli sono enormi, ma che riguardano anche altre strutture, poi ricadranno, come sempre, sulle tasche dei cittadini. Le tasse le paghiamo noi e con le nostre tasse si andranno a ristrutturare queste sezioni detentive”.
Cosa potrebbe fare il Governo per risolvere questa situazione?
“Il Governo faccia la sua parte e soprattutto prenda in considerazione, finalmente, la possibilità di accettare qualche misura alternativa alla detenzione. E’ ora di agire”.
A cosa si riferisce nello specifico?
“Sarebbe fondamentale rivedere l’intera idea del sistema carcerario. Dare finalmente la prova ad alcuni detenuti, non a tutti, ma a quelli che hanno intrapreso un percorso trattamentale di ravvedimento, di guardare finalmente al futuro in modo diverso. E’ tutto il sistema carcere che così non può funzionare. E’ superato”.
Oggi cosa c’è all’interno delle carceri italiane?
“Troppo detenuti rinchiusi per problemi psichiatrici, troppi tossicodipendenti e troppi stranieri. Questo mix crea grandi problemi di ordine, di sicurezza e di gestione all’interno delle strutture. Ripeto, Roma non fa più notizia ormai, ma anche le altre carceri vivono situazioni simili”.
Un numero maggiore di poliziotti a disposizione aiuterebbe?
“Certo, sarebbe un vantaggio. Siamo carenti di organico e questo tutti lo sanno. Ma ci vogliono però dei provvedimenti di riforma del sistema carcere. Oggi il carcere italiano è diventato un contenitore dove si mette tutto ciò che non si vuol vedere fuori. E questa situazione non è accettabile”.
Prima faceva riferimento a misure alternative alla detenzione. Qual è la sua idea?
“Su tutti, la possibilità di emettere qualche provvedimento di indulgenza: noi abbiamo circa 7915 unità che devono scontare pene da zero a dodici mesi. Detenuti con pena definitiva. Questi soggetti potrebbero tranquillamente rimessi sul territorio per un’esecuzione della pena all’esterno, sotto l’osservazione della polizia penitenziaria. Sarebbe un primo segnale. Ma poi c’è un altro aspetto che mi preoccupa molto”.
Quale?
“Il Governo continua a parlare di inasprimento delle pene: questo porterebbe ad aumentare il numero delle persone in carcere. A nuovi posti letto da destinare alle strutture. E noi posti in carcere non ne abbiamo più. L’ho detto, e lo ripeto: in questo modo si rischia ancora di più il collasso”.
Tornando invece alla gestione attuale dei soggetti più violenti?
“In questo caso bisogna applicare ai violenti l’arresto in flagranza di reato per i detenuti che aggrediscono poliziotti penitenziari o mettono in grave pericolo la sicurezza del carcere, il carcere duro con isolamento fino a 6 mesi ed il trasferimento immediato in particolari sezioni detentive a centinaia di chilometri dalla propria residenza”.
La rivolta avvenuta all’interno del carcere di Regina Coeli ha creato malumori e reazioni dal punto di vista politico. I sindacati sono sul piede di guerra: “La Fns Cisl Lazio ha chiesto poco fa l’autorizzazione alla visita sui luoghi di lavoro degli agenti della polizia penitenziaria nel carcere di Regina Coeli per lunedì 30 settembre. La visita sarà’ incentrata sulle condizioni in cui si trovano alcuni posti di servizio del Reparto 8 e ai piani dove ieri i detenuti hanno effettuato la rivolta. Da quando apprendiamo i danni sono ingenti – non dimenticando che tali ambienti sono luoghi di lavoro e certo il personale non può lavorare in luoghi non idonei”. È quanto si legge in una nota. “Tale visita ha lo scopo di verificare le condizioni lavorative del personale e della salubrità dei luoghi di lavoro. Per la Fns cisl “vi è , da quando apprendiamo, la necessità di chiudere l’intero Reparto”.
“A me è stato impedito di entrare per motivi di sicurezza – spiega Valentina Calderone, garante dei detenuti – Ho potuto vedere però la polizia penitenziaria in assetto antisommossa uscire dal reparto. Sono rimasta alla prima rotonda fino a che non uscissero i medici. Mi sono accertata che non ci siano casi gravi. I medici hanno visitato tutte le celle e mi hanno parlato di una sezione devastata, c’era molta acqua molto fumo”. Il segretario per il Lazio del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Maurizio Somma, ribadisce: “Ancora una volta follia e violenza nel carcere di Regina Coeli a Roma. Il personale della polizia penitenziaria che aderisce al Sappe torna a protestare con veemenza per una situazione esplosiva che era nota ai vertici dell’ Amministrazione penitenziaria nazionale e regionale ma rispetto alla quale nessun provvedimento era stato assunto”.