Una donna ha letto le chat della figlia di tredici anni sul cellulare ed ha immediatamente allertato le forze dell’ordine: sono scattate le manette
Leggere i messaggi whatsapp sul cellulare dei propri figli, può sembrare poco edificante, ed un esercizio che testimonia poca fiducia; ma alcune volte può aiutare a salvare il futuro della propria famiglia. E’ il caso di una donna romana, che imbattendosi in alcune chat sullo smartphone della figlia tredicenne è venuta a conoscenza di alcuni segreti inconfessabili, che rischiavano di rimanere nell’ombra.
Una volta lette alcune chat, la donna è rimasta sconvolta: ha chiesto spiegazioni alla figlia e si è fatta raccontare nei minimi dettagli cosa fosse accaduto in sua assenza. Poi si è immediatamente recata nel vicino Commissariato per sporgere denuncia e permettere alle autorità di andare a fondo alla questione. La verità è venuta presto a galla ed ha portato all’arresto e alla condanna di una persona.
A finire in manette è Riccardo M, di quarantadue anni, compagno della donna. Approfittava dell’assenza della compagna, con la quale conviveva da anni, per approfittare della figlia: una ragazza di tredici anni avuta da una relazione precedente. Secondo la prima sezione penale di piazzale Clodio, l’imputato induceva la minore a “subire atti sessuali, abusando delle condizioni di inferiorità fisica e psichica”. L’imputato è stato accusato di violenza sessuale aggravata. Tutto è scattato dalla denuncia della mamma della tredicenne, compagna del quarantaduenne.
Secondo la ricostruzione effettuata dagli inquirenti ,le violenze erano state effettuate tra il mese di giugno del 2019 e novembre. Riccardo M. viveva con la compagna e la figlia da sette anni. La coppia aveva avuto un’altra bambina . Alcuni comportamenti dell’uomo avevano però insospettita la compagna, che aveva iniziato a sospettare di lui, quando dentro casa iniziavano a mancare alcune somme di denaro. L’uomo era diventato ludopatico e aveva perso anche il lavoro.
La tensione all’interno dell’abitazione era altissima: i rapporti tra la coppia erano molto tesi e l’uomo, a causa della perdita del lavoro, ha iniziato a passare più tempo dentro casa. In questo scenario si sarebbero manifestate le violenze: la compagna, a luglio del 2020, controllando il telefono cellulare della figlia, si è accorta che qualcosa non andava: in alcune chat aveva letto die messaggi strani, che le hanno aperto gli occhi. C’erano messaggi ammiccanti, confessioni fatte ad amiche. A quel punto ha chiesto alla figlia se fosse stata vittima di abusi.
La tredicenne ha confessato cosa era accaduto nei mesi precedenti: ha detto che l’uomo aveva avuto attenzioni sessuali nei suoi confronti e che per diversi mesi, quando la madre non era in casa, l’aveva molestata. Ha raccontato tutto al genitore e alla Polizia, che l’ha poi interrogata. “Si infilava a torso nudo nel letto della minore – si legge nel capo di imputazione – e la toccava nelle parti intime, sia sopra il pantalone del pigiama, sia sotto”. Ma non è tutto: “In altre occasioni, mentre la bambina era intenta a fare i compiti, le si avvicinava alle spalle e si strusciava su di lei”. proseguono le carte.
La mamma si è subito rivolta al telefono rosa ed ha dato il la al procedimento penale per denunciare gli abusi subiti dalla minorenne. Ascoltata dagli inquirenti ha parlato del rapporto con l’uomo ed ha confessato di aver subito anche lei dei maltrattamenti. Insieme ai soldi, sparivano dall’abitazione anche gioielli e apparecchi elettronici: sparizioni oggetto di liti furibonde e di insulti e minacce. L’uomo sarebbe arrivato anche alle mani. Episodi che si manifestavano davanti alle due minori.
Da quel momento in poi l’inchiesta è andata avanti ed ha portato a due processi distinti, che vedevano come imputato la stessa persona. La donna è tornata dalla madre, portando con se le due figlie. Il tribunale dei Minori aveva deliberato per l’uomo degli incontri “protetti” con la figlia. Da un’ulteriore perizia è poi emerso che l’imputato avesse problematiche psicologiche che avrebbe dovuto affrontare intraprendendo un percorso di recupero: iniziato, ma mai portato a termine. L’uomo ha fatto perdere le sua tracce e non si è più presentato ai vari incontri.
Il pm aveva chiesto per Riccardo M. una condanna a sei anni di carcere. Ma i giudici hanno poi deciso per quattro anni e sei mesi, oltre all’interdizione dai pubblici uffici e alla perdita al diritto di successione sia nei confronti della signora che della figlia che hanno insieme. È stata disposta inoltre la riparazione del danno che però verrà decisa in sede civile.