Chiuse le indagini sul processo Cucchi: tre Carabinieri avrebbero intralciato le indagini: ora rischiano di andare a processo
La Procura della Repubblica di Roma ha chiuso le indagini preliminari sulla morte di Stefano Cucchi, il geometra ucciso nel 2009 dopo aver subito delle percosse. Secondo lâipotesi accusatoria, tre carabinieri rischiano di finire sotto processo con lâaccusa di falso e depistaggio. Per i fatti contestati dalla procura sono indagati Maurizio Bertolino, allâepoca dei fatti maresciallo in servizio presso la stazione di Tor Sapienza, Fortunato Prospero, nel 2009 ufficiale comandante della sezione infortunistica e polizia giudiziaria del nucleo Radio Mobile di Roma, e il sottoufficiale Giuseppe Perri.
Secondo lâaccusa i tre indagati avrebbero detto il falso, durante le indagini e in aula, nel corso del processo âCucchi Terâ, che vedeva imputati appartenenti dellâArma accusati di avere depistato le indagini sulla morte del trentenne romano. Nel procedimento risultano parti offese il Ministero della Giustizia, la famiglia di Cucchi (con la sorella Ilaria e il padre Giovanni), alcuni agenti della Polizia penitenziaria e Riccardo Casamassima, il carabiniere che con la sua testimonianza ha portato alla riapertura delle indagini. Lâudienza preliminare è stata fissata al 21 dicembre prossimo.
I depistaggi sulla vicenda Cucchi avevano portato nellâaprile del 2022 alla condanna di otto militari: tra questi il generale Alessandro Casarsa, a cui furono inflitti 5 anni di carcere, e il colonnello Lorenzo Sabatino, condannato ad 1 anno e tre mesi. Il pubblico Ministero Giovanni Musarò contestò in quel procedimento agli imputati coinvolti, i reati di falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia. Nelle motivazioni di quella sentenza il giudice ha scritto che âlâattivitĂ istruttoria dibattimentale ha permesso di ricostruire i fatti contestati e di accertare unâattivitĂ di sviamento posta in essere nellâimmediatezza della morte di Cucchi, volta ad allontanare i sospetti che ricadevano sui carabinieri per evitare le possibili ricadute sul vertice di comando del territorio capitolinoâ.
Nellâudienza venne specificato che âla versione ufficiale dellâArma era stata âconfezionataâ escludendo ogni possibile coinvolgimento dei militari cosĂŹ che lâimmagine e la carriera dei vertici non fosse minata. Allontanando i sospetti dai carabinieri non poteva di certo mettersi in discussione lâazione di comando da parte del vertice del Comando Gruppo Carabinieri Roma la cui figura rischiava di essere quanto meno indebolita dalla vicendaâ, ha concluso il giudice nella sentenza di primo grado.