Apple Vision Pro è stato commercializzato negli USA, ma le reazioni sono state a dir poco controverse. La rivoluzione è compiuta?
Se ne è parlato per mesi come di un possibile crack tecnologico, in grado di cambiare per sempre le nostre vite. Gli è stato paragonato il medesimo salto tecnologico che il mondo conobbe all’uscita dell’iPhone o alla distribuzione al pubblico del World Wide Web e ora che l’Apple Vision Pro è stato commercializzato negli Stati Uniti, il mondo intero si sta domandando: è realmente cambiato tutto?
Nelle prossime righe, proveremo a rispondere a questa domanda, prendendo in considerazione pregi e difetti di un prodotto indubbiamente polarizzante, che potrebbe anche giungere alle nostre latitudini.
Apple Vision Pro è diverso dal resto dei visori presenti sul mercato. Questo è piuttosto evidente a chiunque bazzichi, anche pigramente, in ambito tecnologico. L’azienda di Cupertino, come spesso accade, è salita in cattedra, senza inventare un bel niente, ma semplicemente prendendo un tecnologia già presente, per renderla più accattivante, intuitiva e, banalmente, per migliorarla. Ci è riuscita? La risposta a questa domanda, a differenza di quella posta nell’incipit di questo approfondimento, è piuttosto semplice… Si. La qualità e la facilità di utilizzo di questo Vision Pro è semplicemente appartenente ad un’altra categoria rispetto a ciò che il mercato, fino ad oggi, ci aveva abituato. Tornando però alla domanda iniziale, ci conviene diramare la disamina in due distinte sezioni.
Il nuovo diamante della gamma Apple, tenta di racchiudere in un solo rivoluzionario prodotto, le funzioni di svariati dispositivi utilizzati dalla massa quotidianamente. E’ vero, il prezzo a cui il gingillo della mela morsicata viene commercializzato è al limite del proibitivo (3499 dollari), ma c’è anche da considerare la mole di tecnologia contenuta in quello che, di fatto, è un semplice visore. La magia del Vision Pro è possibile grazie al celebre e potentissimo chip M2, già presente sugli attuali Macbook, coadiuvato da un nuovo processore chiamato R1, che interpreterà tutti i segnali provenienti da 12 videocamere, 6 microfoni e 5 sensori tridimensionali.
Insomma… una convivenza di componenti difficilmente immaginabile in macchine della concorrenza. Il risultato è un visore di realtà virtuale in grado di restituire un’immagine fedele del mondo circostante, in cui, con il cosiddetto spatial computing, è possibile inserire le proprie finestre di Safari, YouTube ecc… Ecco che la possibilità di espandere all’inverosimile il display del proprio Mac, diviene realtà.
Grazie alla potenza e alla qualità dei display, Apple permette di piazzare più spazi di lavoro intorno a se stessi, incrementando sensibilmente la produttività. La presenza di Speaker integrati e, soprattutto, la possibilità di estendere i propri monitor virtuali fino a raggiungere le dimensioni dello schermo di un cinema, rischiano seriamente di rivalutare ulteriormente il senso di recarsi in una sala cinematografica, quando si ha la possibilità di godersi uno spettacolo altrettanto valido anche chiusi in uno stanzino. Funzioni sostanzialmente infinite, che vanno dalla capacità di costruirsi in pochi secondi il proprio cinema personale, alla sopracitata possibilità di interagire con monitor virtualmente infiniti per ottimizzare il proprio work flow (flusso di lavoro).
Vi sono due piani distinti per cui l’esito commerciale di questo Vision Pro è inevitabilmente fallimentare. Il primo riguarda alcuni limiti fisiologici dell’attuale tecnologia. E’ vero, Vision Pro sintetizza in pochi centimetri la potenza che fino a pochi anni fa sembrava destinata a macchine professionali, tuttavia tutto ciò non sembra bastare: la pesantezza e il calore generato dal visore, rendono l’utilizzo quantomeno poco confortevole e, se a ciò si aggiunge l’esigua durata della batteria (dalle due alle quattro ore) e il fatto che quest’ultima sia collegata al visore da un anacronistico cavo, ecco che il Vision Pro diviene un semplice esercizio di stile, tanto strabiliante, quanto inadatto alla vita di tutti i giorni.
A quanto appena evidenziato, va aggiunto un ulteriore piano, stavolta meno pratico e più filosofico: nonostante la casa di Cupertino abbia fatto di tutto per evitare quel fastidioso senso di alienazione generato dai visori, anche in questo caso crediamo che i consumatori preferiscano interagire con oggetti tecnologici all’interno di uno spazio reale. Se è vero che gli esseri umani hanno raggiunto livelli di alienazione inconcepibili fino a pochi decenni fa, ci sentiamo di affermare che, svolgere la propria vita all’interno di una scatoletta dotata di display, sia un livello a cui, almeno per ora, l’umanità non è ancora preparata.
La qualità dell’esecuzione, tuttavia, rimane e, proprio per questo, immaginare un prodotto simile, sprovvisto di telecamere per inquadrare l’esterno, che sia adibito soltanto alla riproduzione multimediale di film e simili, sia una prospettiva sensibilmente più credibile. Le perplessità emerse nel corso delle prove, stanno restituendo ad Apple un chiaro segnale, che potrebbe spingere la mela morsicata a non commercializzare il prodotto all’estero.