L’ennesimo episodio di cronaca che dipinge Roma come una città intollerante ed involuta. Ma cosa sta succedendo a questa città?
Immaginate di uscire con il vostro compagno per festeggiare il nuovo anno. Vi tenete per mano, un gesto semplice, che parla d’amore e di libertà. Poi, all’improvviso, vi trovate circondati, insultati e aggrediti, solo perché avete osato essere voi stessi.
È quello che è accaduto a Stephano Quinto, 26 anni, di origine peruviana, e al suo compagno Matteo M., a Roma, nel quartiere Pigneto.
La serata doveva essere tranquilla. Stephano e Matteo stavano andando verso la metro per raggiungere degli amici a Centocelle. Ma mentre passavano sotto un balcone, una festa di Capodanno ha cambiato tutto. Dall’alto sono partiti gli insulti: “Froci di m…” e altre offese irripetibili. I due hanno cercato di ignorare le provocazioni, ma un gesto istintivo di Stephano – un movimento della mano per dire “basta” – è stato scambiato per una sfida. “Andiamogli a menà”, ha gridato uno dei ragazzi sulla terrazza. E così è stato.
Quello che è successo dopo è stato un vero e proprio pestaggio. Dodici ragazzi e ragazze, tra i 16 e i 18 anni (!), sono scesi in strada e hanno circondato la coppia. Gli aggressori hanno obbligato Matteo a cancellare un video che stava registrando sul cellulare e poi si sono scagliati contro di loro con calci e pugni.
Stephano ha riportato la frattura del naso e una prognosi di 25 giorni. Il suo amico, che era con loro, è riuscito a nascondersi dietro alcune auto parcheggiate e a salvarsi.
Nonostante le ferite, Stephano ha trovato la forza di denunciare l’accaduto ai carabinieri. Le indagini sono iniziate subito. Gli inquirenti stanno cercando di risalire ai partecipanti alla festa nell’appartamento di via Fondulo. Al momento, il reato ipotizzato è quello di lesioni personali aggravate dall’odio razziale e dalla discriminazione.
Ma ciò che colpisce di più è il coraggio di Stephano. Nonostante la paura, non si è lasciato piegare. “Non voglio che nessuno pensi che abbiano vinto, perché non hanno vinto. Io sono ancora qui,” ha dichiarato, annunciando la sua presenza a un presidio contro l’omofobia organizzato in piazza Malatesta. “Nessuno dovrebbe vivere con questa paura. La paura non dovrebbe mai nascere dal semplice essere se stessi”.
Tuttavia, le ferite interiori sono profonde. Stephano ammette di sentirsi cambiato: “Mi accorgo che sto allontanando il mio compagno. Ogni volta che prova a prendermi per mano, il mio corpo si ritrae”. Questo episodio ha riaperto vecchi traumi, costringendolo a ricominciare da capo un percorso di guarigione.
La vicenda di Stephano e Matteo non è un caso isolato. È il riflesso di un problema più grande, che tocca l’intero paese e che fa ancora più male se a perpetrare questo modo di essere animali sono dei ragazzini addirittura minorenni. Fa capire l’aria che tira e in che società abbiamo deciso di vivere. Secondo Rosario Coco, presidente di GayNet, la situazione in Italia è drammatica: “Siamo al 36° posto nella Rainbow Map sulla parità LGBTQIA+. Le famiglie arcobaleno, le persone trans, i consultori: i diritti civili sono sotto attacco”.
E mentre la politica discute e le leggi tardano ad arrivare, storie come questa continuano a ripetersi. È una realtà che ci riguarda tutti, perché la violenza e l’odio non si fermano davanti a nessuna barriera.