L’esordio in serie A con la Lazio, squadra con la quale ha giocato sei stagioni, poi quasi venti anni a Milanello: il racconto di Valerio Fiori
Ha esordito in serie A con la maglia della Lazio: ha vinto un derby alla seconda presenza tra i grandi: ha difeso i pali biancocelesti per ben cinque anni, alternando ottime prestazioni a momenti di grandi pause. Valerio Fiori è stato il portiere di una Lazio giovane, per certi versi operaia, che provava a lasciarsi alle spalle anni difficili e che, mattone dopo mattone, ha iniziato a ricostruirsi un presente ed un futuro. Dopo l’esperienza alla Lazio (la sua squadra del cuore), ha giocato con Cagliari, Cesena, Fiorentina e Piacenza. Poi, l’estate del 1999 arriva la chiamata del Milan.

A Milano Valerio Fiori passa quasi vent’anni, prima da calciatore, poi da tecnico. Il campo lo vede una sola volta: si allena, fa gruppo, ma è il terzo o il quarto portiere della squadra. Una scelta di vita. Un’avventura che gli ha regalato grandi soddisfazioni: “Lazio e Milan rappresentano le squadre più importanti della mia carriera”, ha detto nello speciale de Il Cuoio, in edicola oggi con il Corriere dello Sport. “Con i biancocelesti ho esordito in serie A, ho giocato tanti anni da titolare e mi sono tolto la soddisfazione di difendere i colori della squadra che sentivo mia. Al Milan ho passato un pezzo importante della mia vita, non giocando, ma facendo parte di un gruppo fortissimo. Che ha dominato in Italia e in Europa”.
Valerio Fiori è il doppio ex di Lazio e Milan, squadre che si affronteranno oggi a San Siro: “A Milano è nata mia figlia ed io tra la carriera di calciatore e quella di allenatore, sono rimasto quasi venti anni, togliendomi tante soddisfazioni. Sono arrivato a Milano a trenta anni, con un’esperienza e una consapevolezza diversa. Le motivazioni non mi sono mai mancate, anche se sapevo che difficilmente sarei sceso in campo. Di quell’esperienza mi resta il rapporto tra squadra, giocatori e ambiente. In quegli anni il Milan era speciale. I trofei vinti hanno regalato emozioni forti e indimenticabili. Vincere era bello e speciale. Ma non dimenticherò mai neanche la finale di Istanbul contro il Liverpool. Una cosa assurda”.
A Milano ha iniziato la sua carriera da allenatore: “Per me è stata una consacrazione professionale in un altro ruolo. Ma ho portato a casa dei trofei anche li: ricordo lo scudetto con Allegri. Passare dal campo alla panchina è stato particolare: vedi il calcio in un’ottica diversa, prestando attenzione a dei dettagli che quando fai il giocatore non puoi capire”. Nella sua carriera da allenatore c’è un rammarico. “Non aver mai avuto la possibilità di tornare a lavorare a Roma nella Lazio. Mi sarebbe davvero piaciuto tornare nella mia squadra, dove ho iniziato e alla quale mi sento legato. Fino ad oggi non c’è mai stata questa possibilità. Magari in futuro qualcosa può cambiare”.
L’avventura nella capitale, rappresenta per Valerio Fiori il momento più bello e romantico della sua carriera: “La Lazio è la squadra che mi ha lanciato, che mi ha fatto diventare un portiere vero. Giocare a vent’anni alla Lazio non è facile. Hai una pressione addosso pazzesca, ma io ho sempre cercato di fare il massimo. E credo di esserci riuscito. Ho fatto il settore giovanile alla Montesacro Lazio e poi alla Lodigiani. La Lazio mi prese per farmi fare il portiere della Primavera. E al primo anno arrivò lo scudetto. C’era mister Morrone in panchina, in campo Rizzolo, Saurini, Biagioni. Eravamo una bella squadra. Nell’87 vinsi lo scudetto in Primavera, l’anno successivo mi allenai con la prima squadra e poi in campionato giocavo con la Primavera e l’anno dopo arrivò l’esordio in serie A”.

Con Materazzi in panchina, Valerio Fiori parte alle spalle di Silvano Martina, ma dopo poche settimane si prende la maglia da titolare, che conserverà per cinque stagioni consecutive. “Ero il vice di Silvano Martina, ma poi alla lunga sono diventato titolare. L’esordio ufficiale fu in Coppa Italia con l’Atalanta, poi in campionato a Firenze e la domenica successiva, subito titolare nel derby. Per me non fu per niente semplice. Ma l’incoscienza dell’età ha giocato un ruolo fondamentale. Resterà per me un’emozione unica. Poi la Lazio tornò a giocare e a vincere un derby dopo tanti anni. Quindi fu una gara storica”. Titolare della Lazio a 19 anni, titolare della Nazionale Under 21. Molti erano convinti che Valerio Fiori fosse destinato ad una carriera eccezionale, ma purtroppo non tutto andò per il verso giusto. “Da come ero partito pensavo che le cose potessero andare meglio. Nei primi anni alla Lazio ho avuto un problema serio alla schiena, l’ernia del disco. Sicuramente un po’ ha inciso, e poi ci sono stati altri fattori che non mi hanno permesso di esprimermi come avrei voluto. Ma non mi lamento. Qualche rammarico c’è, ma sono contento della mia carriera. Giocare a Roma, per un giovane romano non è affatto facile. E’ stata una bella battaglia. Comunque ero spesso criticato, sotto processo e continuamente osservato, ma alla fine ho fatto cinque anni da titolare, sia con Materazzi che con Zoff. Solo l’ultima stagione ho perso il posto e a metà stagione sono stato sostituito da Orsi”.
A proposito di allenatori. Alla Lazio ha avuto Giuseppe Materazzi e Dino Zoff. “Sono legatissimo a Materazzi, che mi ha fatto esordire e che poi ho ritrovato a Piacenza e a mister Zoff. Uno che non mollava mai, di fronte a tutto. Una volta prima di una partita mi obbligò a giocare con una caviglia gonfia come un pallone. Si avvicinò e mi disse che un portiere non doveva mai mollare e che dovevo stringere i denti. Ora ho capito perchè il suo secondo c’è morto in panchina”(ride ndr.). Sei stagioni intense, ricche di emozioni: “Mi resta l’esordio, la vittoria nel derby, l’anno del Flaminio con la vittoria contro il Napoli. Tanti bei ricordi e tanti grandi compagni. Su tutti Ruben Sosa, un giocatore pazzo, simpaticissimo. Prendeva in giro tutti, ed era fortissimo. Tirava talmente forte in allenamento che io quando lui calciava provavo a respingere, ma spesso la palla entrava ugualmente. E lui mi chiamava manina”. Dopo di lui, Paul Gascoigne: “Ho vissuto gli anni dell’infortunio, quando doveva arrivare e poi quando finalmente esordì. Giocatore dalla classe unica: peccato per la fragilità. Scherzi? A me nessuno in particolare, ma credo di essere stato fortunato. Con gli altri non si è risparmiato”.