Agni inizi degli anni 2000, nelle sale cinematografiche uscì un bellissimo film diretto da Howard Deutch dal titolo “The Replacements” che tratta le vicende dei Washington Sentinels, celebre squadra di football americano dell’omonima città, ispirandosi alla vera storia dello sciopero dei giocatori della NFL (National Football League) del 1987 allorquando i giocatori decisero di non scendere in campo per via del mancato aumento salariale che gli era stato negato dalle società. In questo bellissimo film troviamo uno dei doni che un atleta professionistico desidera più di qualsiasi altra cosa, oltre alla fama, al denaro e alla realizzazione sportiva. E lo troviamo in una frase detta dallo stesso coach (interpretato da un eccellente Gene Hackman che riveste il ruolo di allenatore in pensione richiamato per far fronte allo sciopero messo in atto dai giocatori e che mette su una squadra di riserve chiamando ex-giocatori tutt’altro che convenzionali): “…Voi avete una cosa che è il sogno di ogni atleta: avete una seconda chance e non la volete buttare..”.
È facile intuire che tanti ex-futuri campioni, o presunti tali, abbiano sprecato tra virgolette la loro possibilità, per un motivo o per un altro. Ma è altrettanto facile intuire che spesso e volentieri nello sport professionistico il talento non basta, ci vuole carattere, persone giuste intorno e perché no una buona dose di mentalità. E ove manchino queste caratteristiche è facile che grandi futuri campioni non riescano a sbocciare nelle rispettive discipline. Purtroppo, o forse a volte per fortuna, lo sport a certi livelli non permette queste fortune della sorte, ossia avere una seconda possibilità, un po’ perché società e federazioni vogliono (anche) risultati e non solo coltivare talenti, un po’ perché anche i tifosi spesso faticano a scordare prestazioni sottotono rispetto a prestazioni egregie che spesso e volentieri cadano nel dimenticatoio additando giovani atleti come “scarsi” dopo qualche apparizione ed esaltando con la stessa facilità altri atleti per una prestazione sovra-normale.
Eppure, ogni tanto, questo miracolo c’è. È il cosiddetto miracolo della seconda chance, quell’occasione che devi cogliere al volo e non farti sfuggire, afferrare con le unghie e con i denti per emergere per inseguire quel sogno chiamato sport per uscire dalle sabbie mobili di prestazioni condite da troppi errori. Ci viene da pensare all’esempio di Karolina Kostner dopo le vicende giudiziarie che in questi giorni sta facendo molto bene ai Mondiali, o a tutti quegli atleti che dopo bruttissimi infortuni vedevano la loro carriera scivolare via (Totti prima del Mondiale 2006 o Baggio che d’infortuni ne ha subiti più degli anni della sua carriera) ma che si sono rialzati più forti di prima. Lo sport è vero è magia ma spesso e volentieri è anche crudele perché in un attimo ti può togliere tutto ciò per cui hai combattuto per anni con dedizione e sacrificio; e questo spesso è causato da chi sa sugli spalti, gente pronta a puntare il dito stando comodamente seduta, profetizzando chissà quale assunto di origine sconosciuta solamente per etichettare qualcuno che nel proprio sport mette anima, corpo e sudore. La verità è che si è frettolosi, la verità è che spesso manca la cultura dello sport. Cultura che non si può insegnare, ma solo imparare. Imparare a dare una seconda chance: il sogno di ogni atleta.
di Luigi Colucci