L’ex centrocampista biancoceleste ricorda Sven Goran Eriksson, che ha guidato la Lazio alla vittoria dello scudetto: “Era un punto di riferimento e ci ha insegnato anche tanto nell’ultimo periodo”
“Non perdiamo un tecnico, perdiamo un padre”. Dario Marcolin, campione d’Italia della Lazio del 2000 e attuale opinionista Dazn, racconta Sven Goran Eriksson. Il tecnico svedese, che ha legato il suo nome a quello della Lazio, vincendo sulla panchina della squadra biancoceleste uno scudetto, una Supercoppa Europea, una Coppa delle Coppe, due Coppe Italia e due Supercoppe italiane, è morto oggi all’età di settantotto anni, dopo aver lottato come un leone contro un tumore al pancreas. “Come al solito ci ha insegnato tanto, anche nell’affrontare la malattia. Con il suo solito spirito sereno. Lo stesso che metteva in panchina”, confida Marcolin in esclusiva ai nostri microfoni.
Marcolin, cosa ha rappresentato Sven Goran Eriksson per lei e per i suoi compagni?
“Perdiamo una figura fondamentale. Un maestro di calcio e di vita. Per me e per i miei compagni ha rappresentato tantissimo. E’ stato come un padre”.
E’ stato il mister più vincente della storia della Lazio…
“Ma per noi non ha rappresentato solo questo. E’ stato un vero e proprio punto di riferimento. Il segreto delle vittorie di quella squadra”.
Cosa ha portato in campo Eriksson?
“A me piace più ricordare più l’uomo che il tecnico. Una persona per bene, intelligente, arguto, un uomo fantastico. Mi ricordo sempre che, quando c’erano le cene di squadra, lui prima andava a salutare tutte le mogli e le compagne dei calciatori, poi si soffermava con noi. Era una sua forma di rispetto e di educazione”.
Tornando al campo?
“Era un tecnico completo: un allenatore nel vero senso della parola. Il miglior gestore di risorse che si potesse mai avere. Ed è per questo motivo che è rimasto nel cuore di tutti: tifosi, dirigenti e giocatori”.
Il suo rapporto con Eriksson?
“Il tecnico svedese mi chiamava il sinistro di dio. Apprezzava le mie qualità e mi diede fiducia in una Lazio piena di campioni. Tra ottobre e dicembre del 1997 ho vissuto il mio momento magico: giocai titolare con continuità e rinnovai il mio contratto. E poi anche fuori dal campo era davvero uno spasso: io facevo parte del gruppo con il quale si divertiva a giocare a tennis. E devo dire che con la racchetta era quasi imbattibile”.
Con Eriksson segnò anche due gol in due gare consecutive.
“Due calci di rigore, prima alla Sampdoria e poi alla Juventus. Beppe Signori era in panchina e da li a poco avrebbe lasciato la Lazio. Mancini, che per la prima volta affrontava da avversario la Sampdoria si rifiutò di battere il rigore che si procurò. Io in allenamento calciavo sempre dal dischetto ed Eriksson non ebbe dubbi a farmi tirare. Due settimane dopo feci il bis in casa della Juventus. Se ho segnato due reti con la Lazio, lo devo a lui”.