All’indomani della decisione negativa da parte della UEFA sul possibile accordo volontario tra l’Organo di Controllo Finanziario del Club indipendente (CFCB) e il Milan, ci si chiede come gli altri club europei riescano ad aggirare o quanto meno rispettare i paletti imposti dall’organo che controlla la finanza calcistica europea. Il Fair Play è nato nel 2010 proponendosi di migliorare le condizioni finanziarie generali del calcio europeo e controllando, nello specifico, le finanze di ogni club che si qualifichi per le competizioni europee (Champions League ed Europa League). I club devono rispettare determinati requisiti di bilancio volti a ponderare equamente le spese e i ricavi di gestione, riducendo così i debiti maturati ogni anno a fronte della conduzione sportiva della società. Teoricamente la norma che ha introdotto questo regime finanziario prevede una soglia limite di 5 milioni di euro di spesa in più di quanto si è guadagno in ciascun anno. Tuttavia, tale limite è derogato allorquando la stessa società, o il proprietario, coprono interamente la spesa ulteriore, che comunque non deve superare i 30 milioni di euro. Tutto ciò è stato posto alla base di una enorme rivoluzione finanziaria che spinga le società sportive ad investire, ma con cautela, senza sconvolgere le finanze societarie e senza incappare in debiti sovrabbondanti.
Il FFP negli ultimi 6 anni ha prodotto un risultato significativo in termini finanziari, la Uefa, difatti, ha registrato un decremento dei debiti societari dei club da 1,7 miliardi a circa 300 milioni. Ora, è logico che ogni squadra debba necessariamente costruire i suoi successi sulla base di un progetto sportivo che possa competere anche con le squadre economicamente più potenti, senza dover ricorrere ad eccessivi debiti con i finanziatori. Tuttavia, all’indomani della decisione della UEFA sul caso Milan, sembra doveroso fare una riflessione. Il Milan, che ha fatto una campagna acquisiti milionaria, si ritrova a mettere in discussione le proprie finanze oltre che il progetto sportivo, mentre il PSG, che quest’estate ha speso centinaia di milioni di euro per i vari Neymar e Mbappè, non ha ricevuto nessuna sanzione. Diciamo che il dubbio sorge spontaneo. Tuttavia, precisiamo che il PSG, esaminando giuridicamente il divieto posto dall’UEFA di avere terzi investitori che finanziano un acquisto (cd. TPO Third-Part ownership) ed il significato giuridico della clausola rescissoria secondo il Codigo Civil spagnolo (secondo cui, è lo stesso soggetto passivo del contratto a dover esercitare la clausola rescissoria pagando un corrispettivo alla società con cui è in essere un contratto sinallagmatico), ha sostanzialmente fatto sottoscrivere un contratto al giocatore (Neymar) per la sponsorizzazione dei Mondiali in Qatar e, con il prezzo pattuito, è lo stesso giocatore a svincolarsi dal Barcellona, senza intaccare le finanze societarie. Al contrario. il Milan ha utilizzato le finanze societarie per coprire gli ingenti costi d’acquisto dei giocatori arrivati nella scorsa estate.
Ora, che il PSG abbia sostanzialmente aggirato la normativa UEFA è un dato di fatto (va fatto un plauso ai consulenti societari), nonostante ciò è da considerarsi meritevole di successo la rivoluzione impostata da Platini che ha posto le basi per un calcio finanziariamente sostenibile. Unica pecca: cercare di completare la normativa per non avere più casi Neymar che potrebbe portare qualche malumore in più tra gli associati alla UEFA.
di Luigi Colucci