Il monastero in cui si svolse la vicenda di questa “monaca di Monza” romana è conosciuto con il nome di Ss. Domenico e Sisto e si trova nei pressi di piazza Venezia. La chiesa fu costruita in onore del fondatore dei Frati Predicatori, come si legge nell’iscrizione sopra il portale, e sulla facciata furono poste le statue di San Domenico e San Sisto, scolpite da Marcantonio Canini nel 1654. Quando in seguito Carlo Maderno ne fece aggiungere altre due nell’ordine inferiore raffiguranti Tommaso d’Aquino e Pietro Martire iniziò ad essere utilizzata la doppia denominazione. Le monache domenicane lasciarono il monastero di San Sisto sul Quirinale l’8 febbraio 1575 e, visto che la nuova sede era ancora in costruzione, si fecero ospitare dalle Terziarie di Santa Maria della Neve. I lavori durarono per molti anni: il coro fu completato nel 1569 e la facciata impegnò le energie di operai e architetti dal 1593 al 1660. La chiesa fu consacrata il primo agosto del 1646 dal cardinale Girolamo Grimaldi.
Il Gigli nel suo Diario Romano racconta che nel maggio del 1635 una monaca venne murata viva nel monastero delle Cappuccine di Santa Croce a Montecitorio perché si scoprì che aveva uno spasimante e aveva addirittura organizzato uno stratagemma per poterlo ricevere nella sua cella. Queste le parole del cronista:
Un giovane ferrarese, essendo innamorato di una monica di casa Alaleona nel monastero di Santa Croce a Monte Citorio […] disse al suo servitore che lui voleva andare per alcuni giorni fuori Roma, e però il detto servitore portasse a quella monica di Monte Citorio quel giorno stesso una cassa, pregandola a tenerla in custodia per alcune robbe d’importanza che vi erano dentro. […] La monica, che aveva la chiave, ricevuta che ebbe la cassa e portatasela in camera l’aperse, e trovatovi dentro quel giovane morto, o come dicono alcuni, che spirava allora, dopo essere stata un pezzo afflitta sopra modo, finalmente fu forzata di scoprire il tutto all’abbadessa, dalla quale ne fu avvisato il vicario del papa, e finalmente la monica fu nel detto monasterio murata, la quale era molto bella e giovane di diciotto anni.
Nel 1640 la “sventurata” uscì da Santa Croce e fu accolta dalle domenicane di Ss. Domenico e Sisto. Il racconto si arresta qui, ma possiamo conoscerne il seguito grazie al diario del monastero, tenuto fino al 1670 da Domenica Salomonia, in cui si dice che Suor Maria Eleonora Alaleona commissionò nel 1649 ad Ercole Raggi un altare, il primo a destra entrando nella chiesa.
Dopo aver scontato la pena, la monaca aveva preferito levare le tende e trasferirsi in un altro monastero, dove si era voluta distinguere facendo una generosa elargizione monetaria. Aggiungiamo che non a caso la pala d’altare raffigura Cristo che appare alla Maddalena, peccatrice lussuriosa divenuta santa, quindi probabilmente Suor Eleonora desiderava rendere esplicito il suo pentimento per la grave azione compiuta.
A sua discolpa possiamo dire che le vocazioni non erano quasi mai spontanee in quel periodo storico e che molte delle ragazze nobili che affollavano i conventi venivano costrette dalle famiglie, le quali desideravano soltanto non dissipare il proprio patrimonio, cosa che sarebbe accaduta se avessero dovuto dare una dote alle figlie.
La violenza sulle donne purtroppo non appartiene al passato e non è più soltanto psicologica, anzi si è trasformata nel “femminicidio”. Questa storia, che ricorda quella della Gertrude manzoniana, ma potrebbe anche somigliare a una novella di Boccaccio, in realtà racconta un dramma personale.
Spero che, pur sorridendo per l’avventura rocambolesca, riusciremo a riflettere sul suo significato e impareremo il rispetto verso i nostri simili, le donne in particolare.
Alessandro Gerundino
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