Il successo di Canaletto a Roma

A partire dallo scorso 11 aprile fino al 19 agosto a Palazzo Braschi sono in mostra le opere del celebre pittore Antonio da Canale, detto il Canaletto (1697-1768).  Le sue vedute di Venezia raffiguranti la laguna, San Marco e la Riva degli Schiavoni sono notissime in tutto il mondo e lo erano già ai suoi tempi quando i nobili di tutta Europa, affascinati dalle bellezze italiane, facevano a gara per avere una tela del famoso artista. 

    La mostra odierna è un omaggio della Città Eterna a Canaletto in occasione dei 250 anni dalla sua morte. Nato in una famiglia dove l’arte era il pane quotidiano, infatti il padre Bernardo era una figura molto nota nel XVII secolo, iniziò la sua carriera realizzando scenografie teatrali come dimostrano sette libretti d’opera. Tra questi, cinque riportano il nome di “Bernardo Canal e i suoi figli” e si riferiscono a spettacoli musicali allestiti nei teatri veneziani Sant’Angelo e San Cassiano nel 1716-1718, mentre Antonio è espressamente citato in due libretti relativi ad opere di Alessandro Scarlatti, Turno Aricino e Tito Sempronio Gracco, messe in scena nel 1720 al teatro Capranica a Roma, dove la famiglia era giunta nel 1719.

    Dopo un periodo di proibizioni sotto papa Innocenzo XII, il teatro era tornato a far parte della vita culturale dell’Urbe con Clemente XI e gli scenografi erano molto richiesti. Il soggiorno romano, pur essendo durato solo due anni, influenzò tutta l’opera successiva di Canaletto. Nonostante i biografi affermino che in quel biennio si dedicò prettamente alle “vedute dal naturale”, in realtà 23 piccoli disegni dimostrano che il giovane pittore spese il suo tempo nella rappresentazione delle rovine di Roma e dei monumenti più importanti. Le esecuzioni più originali sono i “capricci archeologici”, delle creazioni che consistevano nell’aggiungere dettagli architettonici o personaggi immaginari ad una veduta, come accade nel quadro del Campidoglio dipinto da Bernardo a cui il figlio aggiunge una tribuna teatrale.

Canaletto

    La passione per le vedute, che renderanno il pittore uno dei più importanti d’Europa, nasce proprio nella Capitale; infatti accanto ai quadri veneziani la mostra presenta il Colosseo, la Basilica di Massenzio e l’Arco di Settimio Severo. Quando tornerà a Venezia Canaletto affinerà maggiormente la sua arte lavorando sulla prospettiva, il colore, la luce e la sua fama crescerà grazie ad importanti personalità del tempo. Uno di questi è Joseph Smith, editore e collezionista d’arte, console a Venezia tra il 1744 e il 1760, il quale colse le potenzialità estetiche ed economiche delle vedute veneziane facendo esplodere la fama del pittore nel 1735, anno in cui pubblicò il Prospectus Magni Canalis Venetiarum, un insieme di riproduzioni delle tele dell’artista che facevano parte della sua collezione privata.

    Il Canaletto, ormai noto in Europa, passerà gli anni tra il 1746 e 1755 in Inghilterra. Nei suoi quadri entrano Londra, il Tamigi, Saint Paul e i castelli della nobiltà inglese ma, anche lontano dall’Italia, vari committenti continuano a chiedergli di rappresentare vedute di Roma, compito che eseguirà servendosi degli schizzi giovanili per i monumenti antichi e delle incisioni di Gomar Wouters e di Alessandro Specchi per le architetture rinascimentali.

    Tutto questo sfila sotto gli occhi dei visitatori a Palazzo Braschi, nelle cui sale vengono raccontati il percorso biografico e l’estro creativo di un veneziano che ha reso immortale il suo nome partendo dalla Città Eterna.

Alessandro Gerundino

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