L’indimenticabile impronta femminile di un anno impossibile

È arduo trovare un aggettivo che non abbia espresso qualità quasi esclusivamente negative dell’anno che sta per concludersi. Il 2020 è stato dominato, fin dall’inizio, dalla diffusione di una pandemia che improvvisamente ha modificato tutto quanto potesse risultare umanamente modificabile nelle nostre vite. In uno scenario diventato via via apocalittico a ogni latitudine, qualcuno, però, ha continuato a non arrendersi, cercando, trovando ed esprimendo il meglio di sé anche in situazioni estreme: le donne.

E allora, sulla scia di questi dodici mesi che stanno per salutarci – su uno spazio dedicato proprio alle donne – perché non passare in rassegna alcune di loro che hanno saputo particolarmente distinguersi, in contesti diversi ma tutti ugualmente fondamentali, e che ci riempiono di orgoglio e speranza per un nuovo decennio che sta per iniziare?

Doveroso menzionare Anna Grassellino, la scienziata trentanovenne siciliana che sta realizzando il computer quantistico più potente al mondo, Deputy Chief Technology Officer e vicedirettrice della “Divisione di fisica applicata e tecnologia dei superconduttori” presso il Fermilab di Chicago. È stata lei a essere nominata “donna dell’anno” dalla rivista “D” di Repubblica, prima classificata di un encomiabile gruppo di 20 finaliste. Pragmatica come gli ingegneri e visionaria come i fisici, la Grassellino, assieme al suo team, porta avanti un progetto che creerà computer fondati sulla tecnologia legata alla fisica quantistica e quindi all’utilizzo del fotone, a differenza di quelli attuali, che utilizzano il bit come grandezza veicolare di informazioni. Potendo assumere stati energetici differenti e molteplici, i fotoni consentono di gestire (a parità di dimensioni del computer) un numero di informazioni nettamente maggiore e di enorme velocità computazionale. Questo vorrà dire ridurre all’osso calcoli di estrema complessità, lasciando presagire scenari davvero avveniristici di settori applicativi non ancora del tutto prevedibili.

Ma in questi mesi bui hanno brillato anche altre donne di scienza, come l’oncologa Adriana Albini e l’anestesista Annalisa Malara, rispettivamente al secondo e terzo posto di questa hit tutta italiana. La Manara, medico anestesista rianimatore presso l’Ospedale di Lodi, ha avuto il merito di destare l’attenzione sul virus che da febbraio in poi ci avrebbe travolto, isolando il “paziente 1” e attivando la prassi prevista, allora, solo per quelli venuti in contatto con la Cina. La Albini, invece, docente di Patologia Generale presso l’Università Milano-Bicocca e responsabile del Laboratorio di Biologia Vascolare e Angiogenesi dell’IRCCS e della Fondazione MultiMedica Onlus, esperta di microambiente tumorale e angiogenesi, è stata la prima italiana ad essere eletta nel consiglio direttivo dell’American Association for Cancer Research, ma è anche l’unica connazionale inserita dalla BBC tra le 100 donne maggiormente influenti dell’anno, forte di un curriculum interminabile e di una fiducia smisurata nelle capacità e nei contributi femminili alla ricerca. Contributi, purtroppo, mai abbastanza riconosciuti anche in fase di pandemia, contrassegnata, ancora una volta, da una “gestione maschilista”, secondo la sua visione.

Se queste tre tengono alto l’orgoglio soprattutto tra i confini dei media nazionali (seguite da altrettanto validissime compagne di gara, di cui torneremo a parlare), di donne si è discusso, naturalmente, anche oltreoceano. Sulla celebre rivista americana Forbes, nella classica mondiale delle 100 migliori rappresentanti del gentil sesso targato 2020, svetta la cancelliera tedesca Angela Merkel, seguita dalla presidente della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde, e dalla vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris, ognuna a suo modo espressione di una gestione del potere in rosa di grande consenso. Non solo donne di potere finanziario e politico, ma anche artiste amate come Rihanna, Beyoncé e Taylor Swift si sono difese egregiamente, all’interno di un gruppo contrassegnato dalla provenienza da 30 Paesi e quattro generazioni, con 10 capi di stato, 38 amministratori delegati e cinque entertainer in tutto.

Cifre di tutto rispetto, se si pensa che dietro tali numeri ci sono anche leader che hanno sconfitto la prima e la seconda ondata virale di Covid19 tramite rigide procedure di blocco e quarantena, come il primo ministro neozelandese, Jacinda Ardern, salvando interamente un’isola di 23 milioni di persone, con meno di dieci morti. Oppure, capi di società che nel mondo hanno garantito igiene, salute e sicurezza in un momento decisivo, come il capo di Clorox, Linda Rendle, o Karen Lynch, vicepresidente esecutivo di Cvs health e CEO entrante, tra poco responsabile della gestione dei vaccini Covid per il 2021.

Alla luce di esempi tanto eloquenti, qualcuno ancora sostiene che “chi dice donna dice danno”? Danno, sarà d’accordo, quando le viene negato lo spazio meritato. Auguri, donne!

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