Campi rom, rifiuti accumulati e poi bruciati: al via le prime condanne

Una scena vista e rivista dai cittadini romani in qualsiasi quartiere della Capitale: rifiuti raccolti per strada o dai cassonetti da parte dei nomadi, poi ammassati nei loro campi una volta privati di tutte le parti utili.

Gli scarti venivano bruciati negli stessi insediamenti, anche quando si trattava di materiali tossici e pericolosi, per evitare di sostenere i costi di smaltimento. Ferro e rame, invece, venivano venduti.
Ieri sono arrivate le prime condanne nella maxi inchiesta su un mercato nero dei rifiuti che vale milioni di euro e che aveva portato a 15 arresti.

Le accuse riportate sono di traffico illecito di rifiuti, associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio, ricettazione di veicoli, truffa, simulazione di reato e favoreggiamento. I primi due componenti della banda, entrambi rom, hanno scelto di essere giudicati con rito abbreviato e sono stati entrambi condannati: si tratta di Sladan Ramovic, che dovrà scontare 1 anno e 4 mesi, e Goran Seferovic, per il quale il gup ha disposto un anno di reclusione. Tra gli imputati c’è anche Renato Seferovic, uno degli autori della strage di Centocelle, l’agguato incendiario in cui, nel maggio 2017, hanno perso la vita tre sorelline rom di una famiglia rivale.

Al centro dell’inchieta è finita anche l’azienda Mcr, che aveva un’autorizzazione semestrale per effettuare attività di rottamazione. I titolari avrebbero utilizzato uno stratagemma per aggirare le normative sullo smaltimento: i rom trasportavano materiale nella sede Mcr, che otteneva licenze per lo stoccaggio dichiarando che il materiale provenisse dagli scarti delle proprie ditte edili.
Queste ditte però, sono risultate inesistenti, con un guadagno molto elevato che si aggira attorno ai 500 mila euro nel solo 2016, ottenuti rivendendo ad un prezzo maggiorato i materiali già selezionati, senza sostenere i costi di rottamazione e gestione.

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