A parlare è Vittorio Bisogni, pneumologo dell’ospedale San Pietro Fatebenefratelli, che ha trascorso sei settimane in corsia per la lotta al coronavirus in Lombardia. La beffa arriva una volta tornato a casa, a Roma, dove viene contagiato dal focolaio del San Raffaele.
“Ho fatto parte del primo contingente della task-force dei medici della protezione civile: io sono stato a Treviglio-Bergamo ovest per 42 giorni. Poi, il 5 maggio sono tornato a Roma, dove lavoro all’ospedale San Pietro e, come libero professionista, nel mio studio di Guidonia.
Tutti i tamponi e i test a cui mi sono sottoposto, in un mese e mezzo di lavoro in terapia sub-intensiva in Lombardia, sono risultati tutti negativi. Così come il tampone fatto il 27 maggio al San Pietro (il quarto per me), prima di tornare a lavorare in ospedale”.
Prosegue lo pneumologo:
“Il 1° giugno sono andato a fare visita a un mio paziente, che era stato dimesso da pochi giorni dal San Raffaele ed è successivamente risultato positivo. Così mi sono preso il virus anche io.
Lunedì scorso ho fatto il tampone, che è risultato positivo. Sono asintomatico, o meglio paucisintomatico, con un po’ di raffreddore”.
Conclude infine:
“Quello del San Raffaele è solo uno dei tanti cluster, non è pensabile che sia solo lì. Gli ospedali sono stati il maggiore focolaio di diffusione della Covid, nell’Italia settentrionale come nelle altre regioni del mondo.
Se un paziente Covid va in una struttura in cui non ci sono percorsi differenziati, se i malati non sono ben isolati e non vengono fatti controlli continui, si rischia la diffusione del virus nei reparti cosiddetti bianchi, dove non ci sono ufficialmente malati di Covid e i parenti possono andare liberamente a visitare i pazienti. A quel punto si crea un focolaio molto importante.