Marco Tullio Giordana presenta a Roma il nuovo progetto di Luigi Attademo. Sabato 11 febbraio alle 17.00, libreria La Stanza della Musica

L’idea che la musica di Bach sia qualcosa di sovrumano spinge l’interprete ad affrontarla, sempre e comunque, anche superando i limiti del proprio strumento.

La chitarra come la conosciamo non esisteva al tempo di Bach – esisteva la chitarra barocca, ma non era diffusa in Germania. Lo strumento cordofono più prossimo a Bach fu il liuto barocco, uno strumento che il genio di Eisenach aveva tra i suoi strumenti ma che probabilmente non suonava. Certamente aveva una frequentazione con molti liutisti, tra cui L. Krebs. Ma il punto non è giustificare le trascrizioni sulla chitarra attraverso una prossimità di Bach con il liuto. Al contrario, quello che dobbiamo rilevare è che Bach si dedica non una volta sola a trascrivere musica originariamente destinata a uno strumento per un altro strumento affine.

È il caso della Suite BWV 1011 per violoncello che diventa la Suite BWV 995 per liuto. È il caso della Partita n. 3 per violino 1006 che diventa la suite BWV1006a, ancora per liuto.

Ma è anche il caso della Sonata n. 2 BWV1003 per violino il la minore che diventa la Sonata BWV964 per cembalo in re minore.

Ancora più eclatante, la presenza di manoscritti non autografi che consolidano questa pratica. La Fuga della Sonata BWV1001 per violino si trova intavolata per liuto (BWV 1000) e trascritta per organo (BWV539)!

Proprio questa prossimità ardita tra organo e violino spinge ad affrontare la sfida della trascrizione della Toccata e Fuga in re minore BWV565, celebre opera che identifica Bach in tutto il mondo, ma la cui attribuzione è messa in discussione da parte di alcuni studiosi (Williams, Humphreys), che sottolineano in essa l’assenza di stilemi bachiani puri.

Quello che emerge con più evidenza, anche a uno sguardo non musicologico, è quanto questa opera sia caratterizzata da una scrittura contrappuntisticamente e armonicamente più semplice, con la presenza di figure che richiamano direttamente la linearità e le caratteristiche dello strumento ad arco, più che le possibilità dello strumento a tastiera. Valorizzare questa opera rendendola espressiva sulla chitarra è la sfida di questa trascrizione, che cerca di valicare le oggettive limitazioni di registro guadagnando una sonorità più esile e più adatta a questa scrittura.

Altro monumento dell’opera bachiana è la Ciaccona per violino BWV1004. In questo caso ci troviamo di fronte a un’opera che ha migrato destinazione strumentale, già dall’Ottocento fino ad oggi, passando dal pianoforte all’Orchestra per arrivare alla chitarra. Fu Segovia non il primo ma il più importante trascrittore di questa opera, sul solco della tradizione tardoromantica di Busoni, che divenne in breve un caposaldo del repertorio chitarristico. La lettura che ne proponiamo qui – a distanza di oltre ottantacinque anni dalla sua trascrizione – intende ritrovare l’originale violinistico e la sua scrittura che contiene implicitamente valori armonici e contrappuntistici, potenziandola con la naturale inclinazione polifonica della chitarra.

Anche Preludio della Suite n.1 per violoncello rappresenta una celebre composizione del repertorio di Bach sulla chitarra. La scrittura armonica di questo Preludio ben si adatta infatti alle risorse della chitarra, rendendo la tessitura degli arpeggi sonora e ricca, e quasi più funzionale alla chitarra o al liuto che allo strumento ad arco.

Il programma prosegue con due celebri Arie, quella detta “sulla quarta corda” dalla Suite per orchestra in re, e l’Aria delle Goldberg Variationen. Accomunabili solo dall’andamento, queste due composizioni, come anche l’Adagio dal Concerto BWV 1056, sono la prova della potentissima e indissolubile relazione tra armonia e melodia. Quest’ultima non potrebbe avere la forza espressiva che ha senza l’architettura armonica che Bach costruisce, e l’armonia si ridurrebbe a una bella concatenazione accordale se non ci fossero le note chiave della melodia a condurla in direzioni mai scontate. 

Segue una coppia di Gavotte, anch’esse note, e note al repertorio della chitarra, presenti nelle registrazioni di Segovia (la Gavotte en Rondeau occupa uno dei primi 78 giri del chitarrista spagnolo) e anche di Agustin Barrios.

Un’altra coppia di brani simili, il Siciliano della I Sonata per violino BWV1001 e la Siciliana della Sonata per flauto BWV1031 concludono questa avventura nella musica di Bach. Citando le parole di Pier Paolo Pasolini, il Siciliano della I Sonata è “malinconia e preghiera”. Egli vede giustamente in questo movimento di siciliana, emancipatosi dalla dolente tonalità di sol minore per un più sereno sib maggiore, un dialogo tra due voci: e in effetti, la scrittura è caratterizzata da un continuo rimbalzo dall’acuto al grave, complice la limitata possibilità del violino a gestire parti polifoniche. Si tratta di “un canto drammatico, tutto imprevisto, con aperture improvvise, secco, stagnante, crudo, con inopinati ritorni e pentimenti; e nostalgie; e richiami; e pause; e sfoghi; una drammaticità quasi psicologica, che non risolve mai nulla, … come nella vita.” Di altro segno è invece la Siciliana per flauto: si tratta di una melodia sostenuta da un accompagnamento ostinato, in sol minore, votata a una estrema espressività, che fa dimenticare – se ci fosse ancora qualche residuo di essa – quell’immagine del Bach severo e monolitico che conoscevamo nelle indicazioni interpretative degli scolastici di qualche decennio fa. Ho pensato alla registrazione lasciataci alla fine della sua vita da Dinu Lipatti, e ho cercato di ritrovare quella dolcezza e dolente malinconia.

Devo al grande chitarrista David Russell la trascrizione del Preludio- Corale BWV 147, ultimo brano del programma, che anch’esso risuona nella mia mente attraverso l’interpretazione indimenticabile di Lipatti. (L.A.)

Di Luigi Attademo

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