Da medico contro il Covid a paziente contagiato e dimenticato in corsia

Il dottor Arturo Di Folco, chirurgo ambulatoriale in Prati, consulente anche per il tribunale, non si è mai fermato nella lotta al coronavirus, sin dall’inizio della pandemia.

Pochi giorni fa, però, ha avvisato i suoi colleghi:
“Anche io sono alle prese con una infezione da Covid, vi assicuro che è pesantissima”.
A chi gli chiede come si sente adesso risponde:
“Non bene, proprio in questo momento mi sento molto affaticato, ho l’ossigeno e respiro a fatica, non posso stare molto al telefono, però sottoscrivo tutto quanto ho scritto: qualche giorno fa ho fatto accesso al pronto soccorso del Policlinico Umberto I e ho vissuto sulla mia pelle cosa vuol dire stare 24 ore su di una sedia senza avere informazioni, circondato da persone da oltre 3 giorni in attesa sulle barelle. Ma c’è di più”.

“Nessuno si è fatto vivo, – continua – acclarata la mia positività, per chiedermi quali siano stati i miei contatti pregressi, per capire come possa avere contratto il virus. Eppure la mia professione è molto delicata. Detto ciò, immediatamente il giorno dopo abbiamo chiuso l’ambulatorio chirurgico e sanificato tutti gli ambienti. Ma, ripeto, nessuno si è preoccupato che almeno questo avvenisse

Continua sui pronto soccorso:
“L’attuale gestione degli accessi in ospedale richiama alla mente i vecchi lazzaretti di memoria manzoniana. Sono rimasto seduto ore senza nemmeno avere mezza informazione circa l’esito degli esami effettuati, la Tac toracica. C’era gente sulle barelle di fortuna che chiedeva aiuto anche per una semplice pipì e nessuno rispondeva loro. Credetemi, un degrado così se non lo avessi visto con i miei occhi, avrei avuto difficoltà a crederlo”.

La scelta di abbandonare le strutture ospedaliere è stata quasi forzata e conclude:
“Io ho firmato e sono a casa facendo le terapie che spero possano aiutarmi. Al momento eparina, cortisone, ossigeno e antibiotico, la paura grande è il livello di desaturazione.

Impostazioni privacy