29esimo suicidio in carcere da inizio anno, è polemica

Non è solo una notizia, è una ferita aperta. Ancora una volta, un altro detenuto ha deciso di farla finita all’interno di un penitenziario italiano.

Questa volta è accaduto a Rebibbia, uno dei simboli del sistema carcerario italiano, e il dato che fa più male è che si tratta del 29esimo suicidio in carcere dall’inizio del 2025.

mani sulle sbarre
29esimo suicidio in carcere da inizio anno, è polemica (Roma.CityRumors.it)

Una cifra che parla da sola, che non si riesce più a giustificare con le sole parole “emergenza” o “criticità”.

L’uomo, 39 anni, si è tolto la vita nella notte tra giovedì e venerdì. Era nel reparto G11 del carcere romano, e pare fosse da poco arrivato. Non c’è stato nulla da fare: i soccorsi sono arrivati, ma troppo tardi. La domanda che ritorna — e con sempre più rabbia — è una sola: com’è possibile che accada ancora, e così spesso?

Chi conosce da vicino il mondo delle carceri non si sorprende più. È un sistema che arranca, soffoca, implode. Le celle sono sovraffollate, il personale ridotto, gli strumenti di prevenzione inesistenti o del tutto insufficienti. E chi ci lavora dentro, dagli agenti ai medici, vive un quotidiano che spesso li lascia soli, come soli si sentono i detenuti che si arrendono.

Secondo i dati aggiornati di Antigone, l’associazione che da anni monitora le condizioni delle carceri italiane, il numero di suicidi sta crescendo in modo allarmante. Nel 2024 sono stati 70 in totale. Ora siamo ad aprile e già si contano 29 suicidi in carcere: quasi uno ogni tre giorni. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di uomini tra i 25 e i 50 anni, spesso senza precedenti, senza diagnosi psichiatriche formali, ma con un carico invisibile che nessuno riesce a intercettare.

Le reazioni

Non sono mancate le reazioni. Dura la presa di posizione del garante dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasia, che ha parlato di un sistema incapace di offrire una “vera assistenza psicologica” a chi vive dietro le sbarre. “Non si può continuare a parlare di eventi imprevedibili – ha detto – quando i segnali ci sono, e sono sotto gli occhi di tutti”.

carcere
Le reazioni (Roma.CityRumors.it)

Anche i sindacati della polizia penitenziaria sono tornati a chiedere rinforzi e strumenti adeguati. La UILPA ha denunciato l’ennesima morte come “una tragedia annunciata”, in un contesto dove spesso si lavora con turni massacranti, in condizioni che mettono a rischio anche chi dovrebbe garantire sicurezza e supporto.

Il problema, però, non si risolve solo aumentando il personale o installando telecamere. Si tratta di ripensare il carcere per quello che dovrebbe essere: un luogo di rieducazione, non di abbandono. Dove chi entra ha il diritto, oltre che il dovere, di immaginarsi un domani. Dove la salute mentale non venga trascurata fino a diventare un silenzioso assassino.

È arrivato il momento di chiederci, come società: vogliamo davvero continuare a girarci dall’altra parte? Davvero possiamo permetterci che ogni pochi giorni qualcuno muoia in silenzio, senza che nessuno lo noti fino al bollettino successivo?

Non si tratta solo di carcere. Si tratta di umanità.

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