Nel quartiere della Cecchignola, zona sud della Capitale, si torna a parlare di spazi pubblici, servizi essenziali e diritto alla città.
Una richiesta che sembra semplice, quasi ovvia: una nuova scuola e un centro civico.
Ma, come spesso accade quando si parla di urbanistica e promesse istituzionali, tra la teoria e la pratica c’è un abisso fatto di scadenze vaghe, cavilli tecnici e – soprattutto – tante incertezze.
La questione nasce da una proposta portata all’attenzione del Municipio IX da parte dei cittadini e sostenuta da alcuni consiglieri locali. Si parla di un’area che dovrebbe ospitare servizi pubblici fondamentali, in grado di dare una risposta concreta a una comunità in espansione che continua a crescere senza che crescano, però, le infrastrutture a supporto.
La Cecchignola, infatti, non è più da tempo un’area marginale o isolata. Al contrario, tra nuovi complessi residenziali e lotti edificati, il quartiere ha subito una vera e propria trasformazione. Famiglie giovani, bambini, nuovi residenti: è una popolazione in fermento, ma che si scontra con la carenza di spazi aggregativi, scuole adeguate e strutture pubbliche. Da qui, la richiesta – legittima – di un centro civico e una scuola primaria.
Ma se l’intenzione sembra buona, quello che manca è un piano chiaro. I costruttori privati che hanno sviluppato l’area si erano impegnati, secondo quanto riportato, a realizzare anche opere pubbliche. Solo che, a oggi, queste opere sembrano più promesse su carta che realtà tangibili. Mancano i dettagli: quando inizieranno i lavori? Chi gestirà questi spazi? E con quali fondi?
Nel frattempo, i residenti restano in attesa. E, nel frattempo, i bambini vengono iscritti in scuole lontane, i genitori affrontano spostamenti complicati, e le occasioni per vivere il quartiere in modo attivo si riducono. Per chi vive lì ogni giorno, il problema non è astratto, è quotidiano. E il rischio, come spesso accade, è che la pianificazione urbana resti ferma a un livello burocratico, lontano dai bisogni reali della gente.
Secondo alcuni esponenti del Municipio, il tema è ora all’ordine del giorno e si stanno facendo pressioni per sbloccare la situazione. Ma ci sono ancora molti nodi da sciogliere, a partire dall’effettiva disponibilità dell’area individuata, che oggi sembra non essere ancora formalmente ceduta all’amministrazione pubblica.
In tutto questo, quello che colpisce è la distanza tra chi abita quei palazzi e chi prende le decisioni. La sensazione è che ci sia una richiesta semplice – più servizi per un quartiere in crescita – che però si scontra con un sistema ancora troppo lento e frammentato.
Allora la domanda, più che tecnica, diventa politica e umana: è accettabile che in una città come Roma ci siano ancora quartieri nuovi senza scuole, biblioteche o spazi per stare insieme?
Forse la risposta non è solo nei regolamenti urbanistici, ma nella volontà concreta di ascoltare e agire. Perché se i quartieri crescono, ma i servizi restano fermi, allora la città – quella vera – non sta davvero andando da nessuna parte.