L’11 settembre di due anni fa Claudio Campiti entrò in un gazebo a Fidene e sparò alle persone presenti ad una riunione condominiale, uccidendone quattro. L’incredibile svolta
Due anni fa, l’11 settembre del 2022, Claudio Campiti arrivò armato nel gazebo di un bar a Fidene, in via Monte Gilberto, al confine con Colle Salario. All’interno del locale era in corso una riunione di condominio. Campiti estrasse improvvisamente un’arma da fuoco e iniziò a sparare all’impazzata contro le persone presenti, uccidendone quattro.
A due anni di distanza, il processo ha vissuto una giornata molto intensa: nel corso dell’ultima udienza, Campiti si è presentato a sorpresa ed ha letto un lungo memoriale, provando a spiegare i motivi di un gesto ancora oggi poco chiaro e che gli inquirenti hanno evidenziato come “aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi”.
Strage di Fidene, la ricostruzione
Nel mirino, oltre all’esecutore del folle gesto, anche i responsabili del Poligono del tiro a segno nazionale di Tor di Quinto: luogo dal quale Campiti aveva sottratto (senza alcun controllo) l’arma con la quale ha aperto il fuoco. Il cinquantottenne, aveva noleggiato una pistola semiautomatica nel poligono dove era socio e si è poi presentato sul luogo del delitto. Una volta entrato nel gazebo, ha iniziato ad aprire il fuoco sui presenti, uccidendo quattro persone: Nicoletta Golisano, Elisabetta Silenzi, Sabina Sperandio e Fabiana De Angelis. Erano socie del consorzio immobiliare ‘Valleverde’, con sede in provincia di Rieti. Durante l’udienza sono stati ascoltati, tra gli altri il Prefetto di Roma, Lamberto Giannini, all’epoca dei fatti, capo della Polizia di Stato e il questore di Roma, Carmine Belfiore.
A Claudio Campiti vengono contestate le accuse di omicidio aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi per la morte delle sue quattro vittime, e anche l’accusa di tentato omicidio di altre cinque persone sedute al tavolo del consiglio di amministrazione del consorzio e di lesioni personali derivate dal trauma psicologico subito dai sopravvissuti. Imputati nel processo anche il presidente della sezione tiro a segno nazionale di Roma e un dipendente addetto al locale dell’armeria del poligono di tiro di Tor di Quinto, dove Campiti prese l’arma utilizzata poi per compiere la strage, accusati, invece, di omissioni sul controllo e la vigilanza sulle armi.
La lettera di Campiti: “Ecco perchè ho sparato a Fidene”
Il cinquantottenne si è presentato a sorpresa di fronte ai giudici e alla giuria popolare della Corte d’Assise di Roma e attraverso il suo legale, ha prodotto e letto una memoria davanti. “Al fine di chiarire meglio il mio gesto chiedo di chiamare anche i sindaci di Ascrea e Rocca Sinibalda e il loro prefetto. Poi domando quanti anni devono durare i lavori, quando secondo il comune di Rieti devono durare massimo 5 o 10 anni e non mezzo secolo trasformandosi in un’associazione a delinquere come ha affermato personalmente a me un magistrato”.
Il questore della Capitale, Carmine Belfiore, ascoltato come teste ha spiegato: “Quando avvenne la strage a Fidene mi ero insediato da pochissimi giorni, forse cinque. Dopo la sparatoria verificammo che al poligono di Tor di Quinto c’erano già stati incidenti e criticità e decidemmo di compiere accertamenti su tutti i poligoni di tiro ed emersero molte situazioni di irregolarità, tanto che effettuammo diverse sanzioni e alcune strutture furono chiuse e risultò evidente che a Tor di Quinto l’organizzazione di come venivano distribuite armi e munizioni non andava bene”.
Come detto, nel mirino dei giudici ci sono il presidente della Sezione Tiro a Segno Nazionale di Roma e l’addetto all’ armeria del poligono di tiro di Tor di Quinto, dove Campiti noleggiò l’arma. Per quanto riguarda le segnalazioni inviate via Pec dal commissariato di Ponte Milvio sulle falle della sicurezza del poligono, Belfiore ha spiegato di aver “disposto un’indagine amministrativa per capire cosa non ha funzionato”. Ascoltato come teste in aula, il prefetto di Roma, Lamberto Giannini ed ex capo della polizia di Stato, all’epoca dei fatti, ha spiegato: “E’ stata una vicenda di una gravità inaudita” e ha poi aggiunto che la Questura di Rieti aveva negato a Campiti il porto d’armi.