Il rapporto stilato dalle associazioni che si occupano dei braccianti e dei clandestini che quotidianamente vengono sfruttati nei campi, è clamoroso: le testimonianze shock e i numeri…
“Sono atti disumani che non appartengono al popolo italiano, e mi auguro che questa barbarie venga duramente punita“. Con queste parole il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha commentato la morte di Satnam Singh, il 31enne indiano che mercoledì è morto all’ospedale San Camillo di Roma dopo essere stato abbandonato dal datore di lavoro in fin di vita, con il braccio amputato e con le gambe lacerate da un macchinario, dopo un terribile incidente sul lavoro.
Singh era arrivato in Italia con la speranza di iniziare una nuova vita, ma si è ritrovato dopo pochi giorni a lavorare in condizioni disumane. Così come molti connazionali, è stato soggetto a turni sfiancanti, di quasi quattordici ore consecutive, per raccogliere frutta, verdura e cibi sui campi. Il tutto per uno stipendio assurdo: circa tre euro all’ora. Una paga che non permette a molti lavoratori di trovare una sistemazione dignitosa: molti, secondo il racconto fatto oggi da numerosi quotidiani, sono infatti costretti a vivere in alloggi di fortuna: senza riscaldamenti in inverno o sotto il sole cocente in estate.
Il loro lavoro è sfiancante ed infinito e viene portato avanti con qualunque condizione atmosferica: sotto la pioggia battente o con l’afa di questi giorni. Molti sono senza documenti: alcuni, secondo quanti riportato dal quotidiano Il Messaggero vengono anche drogati con stupefacenti o antidolorifici per non far percepire dolore e stanchezza. “Spesso si dimenticano che siamo esseri umani”, ha raccontato uno dei braccianti che lavorano nell’agropontino. L’Associazione In Migrazione ha realizzato uno studio che offre un’istantanea delle condizioni sociali e lavorative di questi braccianti agricoli. La realtà degli indiani sikh, spiega il rapporto, è poco conosciuta, eppure comuni sono le sorti di questi lavoratori agricoli che arrivano in Italia pagando prezzi altissimi, sia in termini economici che sociali. Una volta qui vengono impiegati come braccianti, alle condizioni di lavoro e salariali che decide in via esclusiva il datore di lavoro italiano. La non conoscenza della lingua italiana certamente non li agevola, ed anzi pesa sulle loro condizioni sociali e economiche.
Le testimonianze shock dei lavoratori
Le testimonianze sono terribili e regalano una fotografia chiara della situazione che vivono questi lavoratori: “Il mio lavoro è brutto. Io lavoro sempre, tutto il giorno per pochi soldi. (…)Vado con la bici al campo dalle 7.00 fino a sera tardi verso le 17 o le 18. Dipende da quanto vuole che io lavori”, dichiara Hardeep, bracciante di 30 anni. L’uomo si riferisce al suo datore di lavoro chiamandolo con l’appellativo “padrone”. “Faccio troppa fatica, il padrone è sempre molto duro. Io non capisco l’italiano e lui è troppo duro con me e i soldi sono sempre pochi. Da contratto io ho 8 euro, ma il padrone mi dà 3 o 4 Euro, dipende da come vuole lui. Come è possibile vivere in questo modo? Io sono un bravo lavoratore, sto sempre zitto, mai problemi. Io non faccio come gli italiani che quando lavorano troppo, lasciano tutto e vanno via. Io sto sempre zitto e lavoro, ma non ho mai soldi, come è possibile? Sono stanco: due, tre, cinque mesi senza stipendio, non è vita così. (…). Io devo sempre chiedere un po’ di soldi al padrone ma quei soldi sono miei, perché io devo chiederli”.
Sulla stessa linea anche Madanjeet, bracciante di 28 anni, da 2 in Italia. “Io lavoro in campagna. Vado in macchina con un amico dalle 6 alle 17-18. Dipende dal padrone: io non ho orario. Carico tutto il giorno grandi camion con zucchine o verdura. (…) Il padrone è così così. Lavoro sempre senza mai ferie, ma non mi pagano: il padrone mi dà
soldi una volta ogni 4-5 mesi. Così è difficile vivere. Sono in regola con i documenti e ho un contratto di lavoro regolare ma il padrone mi paga 100 o 200 euro ogni tanto, ma io voglio tutti miei soldi perché ho una famiglia in India, in Punjab, che ha bisogno dei soldi per vivere, cosa dico loro? “.
Quanti sono i lavoratori nell’Agropontino a lavorare in queste condizioni?
Sono circa17 mila i lavoratori regolarizzati nell’Agropontino. A questi se ne aggiungono almeno altri dodici mila che al momento sono in attesa di documenti. Il rapporto di In Migrazione è molto chiaro: “La richiesta di forza-lavoro non qualificata e facilmente reperibile da impiegare come braccianti nella coltivazione delle campagne ha incentivato la migrazione e convinto molti sikh a stabilizzarsi nelle provincia di Latina, una comunità che a oggi la CGIL stima in 12.000 persone”.