E’ un egiziano, ha 45 anni ed aveva avuto una relazione con lei: ecco chi è l’uomo fermato dalla Polizia. Oggi il colloquio con il Gip
Si chiama Adil Harrati, ha 45 anni ed è l’uomo maggiormente indiziato per l’omicidio di Rossella Nappini, l’infermiera di 52 anni assassinata nell’appartamento di via Giuseppe Allievo lunedì scorso. L’egiziano è stato fermato dagli agenti della squadra Mobile, ma al momento non ha dato indicazioni utili. E’ rimasto in silenzio e si è avvalso della facoltà di non rispondere. Al momento è stato trasportato nel carcere di Regina Coeli. Oggi potrebbe essere ascoltato dal Gip per l’udienza di convalida.
L’accusa nei suoi confronti è durissima: omicidio volontario, aggravato dalla premeditazione per essersi presentato a casa della madre di Rossella con un coltello che, secondo l’accusa, ha poi utilizzato una volta uscito dall’appartamento di via Giuseppe Allievo per uccidere la sua ex. Gli inquirenti sono ancora a caccia dell’arma del delitto (ricercata nei cassonetti limitrofi all’abitazione) e del movente.
Si indaga sulla pista sentimentale e quella economica. Harrati aveva avuto una relazione con Rossella nei mesi scorsi e non è escluso che nelle sue intenzioni c’era la volontà di lasciare l’abitazione di Torrevecchia che condivideva con alcuni connazionali, per trasferirsi nella casa dell’anziana madre di Rossella, con la quale aveva mantenuto dei rapporti. Gli inquirenti hanno lavorato a lungo per confermare la sua presenza lunedì nella casa di via Allievo. Stanno studiando i moventi attraverso il gps del suo cellulare e visionando le immagini delle telecamere interne ed esterne, per verificare se fosse realmente all’interno dell’abitazione dove si è consumato il delitto. Senza escludere le testimonianze degli inquilini.
Sono ancora tanti i punti da chiarire: per gli inquirenti il femminicidio potrebbe non essere collegato solo ad una vicenda sentimentale, ma anche ai loro rapporti personali. Si studia anche una possibile questione economica, che ha portato all’aggressione. “Nostra nipote era molto preoccupata negli ultimi tempi – hanno spiegato al Corriere della Sera gli zii Lisa e Bruno -, si era anche confidata con nostro figlio, che era suo cugino, con il quale si sentiva per messaggio praticamente tutti i giorni. Il marocchino non lo conoscevamo, ma era evidente che Rossella soffrisse per qualche motivo. E lunedì pomeriggio era uscita di casa per andare al bancomat delle Poste lì vicino a prelevare soldi”. Dichiarazioni che gli inquirenti studiano con attenzione e che potrebbe aprire nuovi scenari.
Continuano intanto le manifestazioni di affetto di amici, familiari e colleghi di lavoro, che da lunedì non si rassegnano all’idea della scomparsa della donna. “Rossella era una persona fragile, aveva avuto una vita difficile, con momenti di grave difficoltà, ma nonostante ciò era sempre pronta ad aiutare gli altri”. È il ricordo dei colleghi di lavoro del San Filippo Neri. A stento chi la conosceva trattiene le lacrime. “Ha lavorato in diversi reparti – racconta Veronica, un’ausiliaria del pronto soccorso – anche con me. Ormai viviamo in un’epoca dove le donne sono un bersaglio. Si pensa che noi donne non siamo forti come gli uomini e quindi più facili da aggredire”.
La Casa internazionale delle donne, ha scritto una lunga nota dopo l’omicidio di Rossella Nappini: “Ancora una donna uccisa, ancora un femminicidio. Sebbene le indagini siano ancora in corso per fare luce sull’ennesima tragedia, c’è un fatto inequivocabile: siamo di fronte a una mattanza e abbiamo bisogno di una reazione non solo forte ma celere. Nessun ulteriore tentennamento può essere ammesso. Abbiamo bisogno al più presto di mettere in campo risorse e una strategia complessiva, perché è sotto gli occhi di tutti la trasversalità del fenomeno: non ci sono strati della società più coinvolti, non ci sono età maggiormente interessate, non c’è differenziazione geografica o grado d’istruzione. Di fronte ad una cultura patriarcale che non ammette la libertà delle donne non possono esserci scorciatoie interpretative: c’è bisogno di una rivoluzione culturale che parta dalla scuola, fin dall’infanzia, che attraversi le famiglie, i media e tutti i luoghi di lavoro. Educare al rispetto e alla parità serve ad abbattere finalmente stereotipi insopportabili, basi solidissime della cultura del possesso che continua a mietere vittime“, conclude la nota.