Gabriele Paparelli: “E’ ora che mio padre riposi in pace. Basta con scritte e insulti”

Quarantaquattro anni fa l’uccisione di Vincenzo Paparelli, colpito da un razzo lanciato dalla Curva Sud prima di un derby: “Per anni ho girato con le bombolette, per cancellare le scritte su mio padre”

“Per anni avevo sempre con me una bomboletta spray con la quale cancellavo le scritte che qualche imbecille lasciava sotto la nostra casa”. Il 28 ottobre per Gabriele Paparelli è sempre un giorno difficile da digerire. Quarantaquattro anni fa suo padre venne ucciso in modo brutale pochi minuti prima del derby della capitale. Uno degli omicidi più efferati e terribili nel mondo del calcio. Oggi, ancora una volta, sul muro del cimitero del Verano è apparsa una scritta ignobile nei confronti del tifoso laziale ucciso.

“Ormai ci sono quasi abituato, è un pò come una tassa – dichiara ai nostri microfoni – che ogni anno qualcuno pensa di far pagare a me e a tutta la mia famiglia. Fortunatamente, nel giro di pochi minuti, la scritta è stata cancellata. Ogni anno, quei muri hanno visto tante scritte infami. Mi resta il pensiero delle tante chiamate che da questa mattina sto ricevendo. La solidarietà di chi in questo giorno ha voluto dedicare un pensiero a me e alla mia famiglia. Quello che conta”. 

Gabriele Paparelli, figlio di Vincenzo, ucciso il 28 ottobre del 1979 allo stadio Olimpico – Roma.cityrumors.it

Una delle pagine più buie della storia della capitale. Un uomo, un padre di famiglia di 33 anni, che tra mille sacrifici porta avanti la sua attività (un’autofficina che gestisce con il fratello) e la famiglia (composta dalla moglie Vanda e da due figli, Gabriele e Marco) viene barbaramente ucciso; colpito in modo vigliacco da un razzo partito dalla Curva Sud, dove sono presenti i tifosi della Roma. Un omicidio figlio degli anni di piombo. Anni di tensioni e di guerre sociali. Con il sangue che scorreva a fiumi per le vie delle città: difficile tenere il conto delle morti a seguito di scontri, attentati e manifestazioni.

Ma il calcio, in tutto questo, sembrava essere un’isola felice. Ma il 28 ottobre del 1979, sul mondo del pallone scese una nube densa di odio, amarezza e tristezza. Vincenzo Paparelli è un tifoso della Lazio: segue con passione le vicende della squadra biancoceleste, che è guidata in campo da capitan Wilson, da Bruno Giordano e da Vincenzo D’Amico. Quel giorno, come racconta il figlio Gabriele, non sarebbe neanche dovuto essere allo stadio. A prendere i biglietti di Curva Nord, era stato infatti il fratello. All’inizio papà aveva deciso di andare a trovare i nonni a Valmontone -dichiara Gabriele, otto anni all’epoca dei fatti – era una brutta giornata, piovosa. Poi si affacciò un timido sole e decise di andare allo stadio. Ne parlò con mamma e decisero insieme. Anche lei lo accompagnò. Io piantai un capriccio, piangevo. Volevo andare con loro all’Olimpico. Ma fu irremovibile. Aveva paura a portare un bambino al derby. Temeva che potessero esserci degli scontri”.

Vincenzo e Vanda lasciano i due figli Gabriele e Marco a casa e raggiungono lo stadio Olimpico. L’atmosfera è strana. Particolare. Dalla curva sud partono due razzi. Il primo percorre una traiettoria di oltre 250 metri e viene lanciato oltre gli spalti. Il secondo finisce in curva nord. Vincenzo Paparelli era seduto al fianco della moglie e mangiava un panino. Chi era al suo fianco ha visto quella scia illuminare lo stadio e terminare nel cuore della curva nord. Il razzo prende Vincenzo Paparelli in pieno volto. La moglie urla, chiede aiuto: qualche tifoso si avvicina: arrivano i soccorsi, il razzo, ancora fumante, viene tolto dal volto del povero Vincenzo, agonizzante. Tutti, all’interno dello stadio, capiscono cosa è successo. I tifosi biancocelesti cercano in tutti i modi di non far disputare l’incontro. Ma sia l’arbitro D’Elia che i capitani delle squadre sono riusciti a convincere gli ultras a far disputare la gara per evitare di surriscaldare ancor di più gli animi ed evitare scontri fuori dallo stadio. Le immagini di Pino Wilson capitano biancoceleste, a colloquio con i tifosi, hanno fatto il giro del mondo. Sul campo è mancato il classico spirito del derby. Nessuno scontro, nessun nervosismo. Tanta voglia di arrivare al fischio finale. La sfida si è chiusa 1-1. Vantaggio laziale siglato da Zucchini e pareggio romanista di Pruzzo. Tutto nei primi quindici minuti.

Gabriele è a casa, e ad un certo punto viene portato dalla nonna. “Ricordo perfettamente ogni attimo di quella domenica terribile, anche le venature degli scalini che ho sceso di corsa, quando all’improvviso mi hanno detto di andare fuori di casa e mi portarono a giocare al luna park. Ero piccolino, ma mi sembrava strano che improvvisamente, qualsiasi mia richiesta venisse assecondata. Ho capito subito che c’era qualcosa che non stava andando per il verso giusto. Era tutto strano: io e mio fratello sbattuti fuori di casa: lui da mia zia e io prima al luna Park, poi da mia nonna. Poi, quando la sera tornai a casa, trovai tutti giornalisti e telecamere ad attenderci”.

La targa esposta sul piazzale della Curva Nord e dedicata a Vincenzo Paparelli – Roma.Cityrumors.it

“E’ ora che mio padre possa riposare in pace”

Per Gabriele e la sua famiglia inizia un calvario. “Eravamo una famiglia come quella del mulino bianco. Stabile, con mio padre che ne era la guida. E siamo piombati in una dimensione nuova. La Lazio con la sua società ci è stata vicina, così come tanti altri club. Ricordo una bellissima lettera scritta con il cuore da Dino Viola, ma soprattutto tanti pensieri da parte della gente comune, scossa da ciò che era successo. Non dimenticherò mai le lettere che arrivavano indirizzate a me e mio fratello con i soldi che qualcuno pensò di darci avendo perso nostro padre”.

La solidarietà del mondo del calcio, ma anche l’idiozia di chi ha preferito dileggiare la memoria di un uomo sottratto alla vita troppo presto e in un modo barbaro. Iniziano le scritte, i cori, le prese in giro. Invece che onorare il ricordo di Vincenzo Paparelli, qualcuno pensa di esaltarne l’uccisione: come se fosse un gol segnato alla Lazio, o un derby vinto. Gabriele per anni ascolta le battute, legge le scritte sui muri della città. E porta con se una bomboletta con la quale cerca di cancellare le offese. “Avevo paura che mamma le potesse leggere. Per anni mi sono chiesto il perchè di certi cori, poi ho capito che erano solo un modo stupido di prendere in giro la Lazio”. Situazioni che però, continuano a verificarsi anche oggi. A distanza di 44 anni:  “Ogni volta che c’è un’evento, diventa l’occasione per tirare in ballo mio padre. La Lazio vince un trofeo? Esce fuori una scritta contro di lui; lo vince la Roma, accade lo stesso. Adesso basta. E’ diventata una cosa insopportabile. Ma cosa c’entra mio padre in tutto questo? Possibile che non possa riposare in pace? Tutte le persone con un pò di sale in zucca si sono stancate. Ma è ora che a livello istituzionale e politico qualcuno dica qualcosa. Che condanni questo continuo attacco alla memoria di una persona uccisa. Sta diventando una barzelletta. Possibile che qualcuno voglia ironizzare sui morti continuamente?”.

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