Nella Piazza di San Luigi dei Francesi, non distante da piazza Navona, è situata la chiesa omonima nazionale dei francesi di Roma dal 1589.
I lavori furono eseguiti da Domenico Fontana su progetti di Giacomo della Porta, e fu consacrata l’8 ottobre 1589.
Dal punto di vista artistico, la chiesa è un’esaltazione della Francia attraverso la rappresentazione dei suoi santi e dei suoi più grandi personaggi storici. Nella facciata sono rappresentate le statue di Carlo Magno, san Luigi, santa Clotilde e santa Giovanna di Valois.
Due sono i luoghi che racchiudono veri e propri capolavori dell’arte del XVII secolo. Nella seconda cappella della navata di destra vi sono l’affresco con storie di santa Cecilia del Domenichino e, sull’altare, una copia di Guido Reni della Santa Cecila di Raffaello; mentre nella quinta cappella della navata di sinistra, la cosiddetta Cappella Contarelli, vi sono tre capolavori assoluti del Caravaggio.
Quest’ultima cappella venne acquistata dal cardinale Matteo Contarelli nel 1565, il ciclo che la decora è costituito dalle tre tele: il Martirio di San Matteo, San Matteo e l’angelo e la Vocazione del santo. Queste furono la prima importante commissione che Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, realizzò a Roma.
Sopra l’altare vi è San Matteo e l’Angelo, sul lato destro il Martirio e su quello sinistro la Vocazione.
Grazie a diversi documenti si è accertato che la prima tela che Caravaggio realizzò fu quella del Martirio di San Matteo nel 1600-1601.
Dalla radiografia sappiamo che Caravaggio compose tre diverse versioni del quadro: nella prima, una composizione più classica e con il fondo chiuso dalla mole di un tempio, al centro si trovava un soldato che irrompeva nella scena coprendo quasi San Matteo. Nella seconda versione i gesti dei personaggi acquistavano maggior vigore. Nella terza versione, invece, l’artista ambienta la scena in uno spazio profondo, con al centro il martirio del santo, riverso a terra, con ai lati una corona di astanti che fuggono inorriditi.
Il groviglio dei corpi rimanda a composizioni manieriste mentre i nudi sono di chiara derivazione michelangiolesca. Il santo è sopraffatto dal soldato etiope mandato dal re Hirtacus ad impedire che san Matteo proseguisse la sua opera di proselitismo. Un angelo si sporge da una nuvola per tendere a san Matteo la palma simbolo di martirio.
La posizione delle braccia di San Matteo, aperte, richiama la croce, tuttavia egli non è illuminato totalmente quanto lo è il carnefice, perché egli è già in Grazia Divina. Il vero protagonista-peccatore è dunque il sicario, è su di lui che deve agire la luce salvifica di Dio.
Tutto intorno vi è un aprirsi della folla che assiste inorridita a quanto sta avvenendo. Tra le persone ritratte si riconosce in fondo a destra un uomo con barba e baffi che probabilmente è lo stesso Caravaggio.
L’intera scena è circondata dal buio, come se il tutto stesse avvenendo di notte. Da questo momento Caravaggio userà sempre il fondo scuro per le sue immagini. Qui, tuttavia, vi è una chiara incertezza sull’uso della luce che ha il compito di rischiarare l’immagine dall’oscurità.
Il quadro con la Vocazione di san Matteo del 1600 risulta più compiuto. Motivo principale del quadro è il fascio di luce che proviene da una finestra che non vediamo, posta sulla destra dell’immagine. Questa luce ha una valenza prettamente simbolica.
Il fascio di luce ci fa intravedere la figura di Gesù, parzialmente coperta da quella di san Pietro. Entrambi stanno indicando san Matteo, ma il gesto di Gesù ha una maggiore forza e determinazione. San Matteo, al momento della chiamata di Gesù, era un esattore di tasse. Quando Gesù lo incontrò, gli disse di seguirlo e san Matteo abbandonò tutto per obbedirgli.
L’opera prende movimento dalla luce ed i personaggi si muovono sulla tela come attori su un palco grazie ad essa.
Da questo momento in poi la pittura dell’artista acquista un carattere sempre più drammatico, sia nei soggetti sia nel suo stile che accentua in maniera violenta i contrasti tra luci ed ombre. Tuttavia la prevalenza è sempre dell’oscurità, e le immagini si riducono all’essenziale.
Il terzo quadro, la pala d’altare con san Matteo e l’angelo fu realizzata nel 1602. Caravaggio realizzò una prima versione dove san Matteo aveva l’aspetto di un popolano quasi analfabeta, al quale l’angelo dirigeva la mano per farlo scrivere.
Secondo alcuni studiosi, la tela fu contestata e quindi rimossa dall’altare maggiore subito dopo la sua collocazione. Essa fu ritenuta volgare a causa dell’aspetto grossolano e dall’eccessivo realismo che l’artista aveva imposto al santo.
La seconda versione apparve invece più accettabile. Qui il santo scrive da solo, mentre l’angelo gli dà dei suggerimenti. In questo modo si salvava la tradizione, che voleva san Matteo ispirato da un angelo, ma al contempo si vedeva un santo con l’aspetto di un vecchio saggio, di certo non analfabeta.
Come in tanti altri dipinti di Caravaggio, l’ambiente circostante ai due protagonisti è a malapena invisibile, lasciando emergere solo qualche piccolissimo dettaglio nella penombra: questo gioco di contrasti da parte dell’artista, serve a mettere in primo piano, con colori accesi, san Matteo e l’Angelo.
Beatrice La Fornarina