Il brutto scivolone di Facebook, provocato dall’inchiesta del Guardian e del New York Times, è solo l’ultima di una serie. Ormai, sono ben note le tegole cadute su Facebook per il trattamento di dati considerato illecito da parte del colosso del web, sotto i riflettori per il fenomeno delle “fake news” e di altri casi piuttosto esemplari.
Ma cosa è successo davvero? Probabilmente non si riuscirà mai a scoprire la verità, se esiste, ma cerchiamo di capire come sono andati i fatti… un’azienda di consulenza e marketing, Cambridge Analytica, ha utilizzato per fini non ben identificati milioni di dati personali prelevati da Facebook, senza informare i soggetti interessati, violando le regole inerenti il trattamento di dati.
Il caso è molto spinoso, soprattutto per il social network, perché pone grandi interrogativi sull’uso dei dati concessi dagli utenti (o estorti in modo più o meno subdolo) a quelle che vengono chiamate “terze parti”, cioè soggetti esterni che possono utilizzare o vendere le informazioni.
La società, di cui faceva parte qualche anno fa Steve Bannon, l’ex capo stratega della Casa Bianca, avrebbe potuto profilare i dati di milioni di utenti per predirne e influenzarne le scelte elettorali. Ovviamente il pensiero di tutti è corso alle elezioni Usa, anche se formalmente mi permetto di dissentire, ricordiamo che Cambridge Analytica è un’azienda che profila dati per creare profili psicologici da associare ai Clienti cui interessa sponsorizzare o vendere un prodotto. Trump ha usato questo strumento, ma come Analytica ci sono molte altre aziende che hanno fatto e fanno lo stesso. Ricordiamo la campagna elettorale di Obama vinta grazie a Facebook… in quel caso non è stato trattato nessun dato illecitamente? Dissento anche stavolta…
Ma torniamo a noi… Dal Congresso Usa sono piovute varie richieste di sentire direttamente il numero uno Zuckerberg, unitamente anche il governo britannico ha espresso “preoccupazione” annunciando l’intenzione di produrre interventi normativi per “mettere fine al far west” dei giganti del web, ma il livello di avanzamento tecnologico cui siamo giunti permette solo di rincorrere questo grande “mostro” del cyber spazio, senza averne più “sfortunatamente” il controllo.
Si difende la società Analytica, scaricando la responsabilità sull’azienda che le ha passato i dati: Gsr, che li aveva raccolti attraverso l’app “ThisIsYourDigitallife” (“Questa è la tua vita digitale”). ”Sono loro ad averli messi insieme illegalmente – dice Cambridge Analytica, assicurando di averli comunque eliminati. Questi dati – aggiunge – non sono stati utilizzati da Cambridge Analytica nei servizi forniti alla campagna presidenziale di Donald Trump”. Di più: “Per questo cliente non sono state attuate campagne con inserzioni dirette ai singoli utenti”. Non ci sta il fondatore di Gsr, Aleksandr Kogan, che si dice “pronto a parlare con l’Fbi e davanti al Congresso Usa”.
“La questione centrale è quella della trasparenza. Quello che ognuno di noi vede su Facebook – spiega Innocenzo Genna, giurista che si occupa di regolamentazione europea del digitale – non è tutto ciò che viene prodotto dai nostri amici o dalle pagine che seguiamo, ma solo circa il 10%. Il lavoro di selezione lo fa un algoritmo basato sui nostri dati. È così che Facebook orienta i contenuti che leggiamo”. È quel codice la chiave di tutto. E non se ne sa niente. Perciò ora i governi potrebbero chiedere a Facebook di avervi accesso o di regolamentarne i criteri di funzionamento.
L’invito invece è di fare attenzione soprattutto ai termini di utilizzo che vengono visualizzati prima di accedere a un servizio o a un gioco. Basta leggere con attenzione quali dati verranno concessi e a chi. Tra i più importanti, senza dubbio, ci sono la geolocalizzazione, ma anche gli interessi e le pagine a cui abbiamo messo “like”.
Attenzione soprattutto ai “test di personalità” (lo stratagemma utilizzato da Cambridge Analytica). È sempre più fitto, sempre più dipendente e per questo va chiarito fin da subito il controllo dei nostri dati, immagine online della nostra vita.
A questo punto, anche alla luce di questo scandalo, è bene fare una seria riflessione sulla protezione dei dati concessi ai social network. Una delle soluzioni, senza pensare a soluzioni drastiche come cancellazione dal social, è di leggere le informative, limitare accessi improbabili ed iniziare a chiedersi “che fine fanno i nostri dati?”
Ogni nostro dato ha un valore economico: iniziamo a tutelare e valorizzare!
Di Silvia Ciampitti