La sanità nella capitale sta vivendo momenti di grandissima difficoltà: sembra di rivivere i problemi evidenziati durante la gestione Covid: ecco i motivi
Ricordate il caos che a Roma e in gran parte della Nazione regnava durante il Covid? Pronto Soccorsi stracolmi, medici costretti ad affrontare dei turni infiniti con ore e ore di lavoro continuativo, ed enormi problemi nella gestione delle liste d’attesa, con pazienti costretti a rimandare visite ed interventi, spesso fondamentali? Nella capitale la situazione, pur non arrivando a quei livelli, sta lentamente ritornando ad uno stato emergenziale.
Negli ultimi giorni i Pronto Soccorsi e gli Ospedali stanno raggiungendo il collasso. Gli ultimi esempi che si sono registrati hanno alzato il livello dell’attenzione, facendo aumentare i disagi ed i problemi. Roma sta vivendo una situazione davvero complicata. Chi si trova costretto a chiamare ora un ambulanza, rischia di doverla aspettare diverse ore.
Tre ore per un ambulanza alla stazione Termini
Come è accaduto ad un turista milanese, che è scivolato alla stazione Termini mentre cercava di far passare del tempo in attesa del treno che lo avrebbe dovuto riportare a casa. L’uomo, in compagnia della moglie, è caduto ed ha riportato una frattura. La compagna ha immediatamente chiamato i soccorsi, ma l’ambulanza è riuscita ad arrivare solo a tre ore di distanza. Lo sfortunato protagonista della storia è stato costretto a rimanere a terra tutto il tempo necessario, aiutato dagli agenti di polizia, che nel frattempo avevano creato una sorta di cordone e dai commercianti, responsabili dei negozi all’interno della stazione, che lo hanno soccorso, portandogli prodotti per le sue necessità.
Le cause del blocco sanitario e delle ambulanze assenti
Una situazione assurda, nata essenzialmente da tre fattori. Secondo gli esperti infatti, sarebbero tre gli elementi che hanno mandato al collasso il sistema sanitario romano (e laziale), bloccando il piano Rocca, nato per aiutare a decongestionare i pronto soccorso del Lazio e che stava dando i primi frutti; ma negli ultimi giorni c’è stata una inversione di tendenza. Colpa dell’incendio che ha distrutto gran parte dell’ospedale di Tivoli nella notte tra venerdì e sabato scorso e che ha portato al trasferimento di numerosi pazienti in altre strutture sanitarie, occupando gran parte delle ambulanze e dei medici a disposizione. Gli altri due fattori sono legati al momento attuale: con l’aumento dei casi Covid (con i più fragili nuovamente colpiti e costretti ad occupare posti letto) e delle persone colpite dall’influenza stagionale, i pronto soccorso sono arrivati al collasso.
I dati preoccupano: liste di attesa infinite e ritardi.
I dati evidenziati da Cittadinanzattiva, sono eloquenti: la ricrescita delle attese nei pronto soccorso è culminata nella giornata di ieri”con 1.000 pazienti in attesa dei Dea del Lazio”. Secondo un recente report, il 36,4% dei romani hanno segnalato la difficoltà a prenotare prestazioni sanitarie, mentre il 17,2% hanno confermato un mancato rispetto dei codici di priorità previste (i famosi codici U,B,D,P); il 15,2 % ha evidenziato tempi lunghi di attesa al CUP per parlare con operatori. Ma quali sono le visite specialistiche che richiedono il maggior tempo di attesa nel Lazio? Il 40,8% di chi prenota Esami Diagnostici ha evidenziato dei ritardi. Stesso problema verificato dal 24,5% di chi prenota Prime visite specialistiche.
Pazienti costretti a pagare o andare in altre regioni
I cittadini che hanno prenotato interventi chirurgici hanno evidenziato problemi e ritardi nell’8,2% dei casi, così come il 10,2% di chi si trova costretto a prenotare Visite controllo/Follow up. Problemi anche per gli Screening Oncologici: in questo caso circa il 3,5% delle prenotazioni vengono rimandate. Emerge poi, in maniera drammatica, un altro dato. Molti si trovano costretti a pagare privatamente le prestazioni, perchè altrimenti non riuscirebbero (a causa delle lunghe attese) a farle in modo pubblico. Il 20,4% ha effettuato le proprie visite o gli interventi in Intramoenia. Di questi l’83,8% ha fatto la prestazione in Intramoenia perché non aveva garanzia che nel pubblico avrebbe fatto in tempo; il 10,8% è stato inviato dal CUP per tempi lunghi nel Pubblico. Inoltre, come conferma Cittadinanzattiva, “il 6,5% ha fatto la prestazione in Extramoenia; il 4,3% ha fatto la prestazione Fuori Regione”. Il report conferma che “il 33,7% è dovuto andare in una ASL differente dalla propria; il 29,3% è andato in un Distretto della propria ASL ma non nel proprio di residenza; il 22,8% ha trovato la prestazione nel proprio Distretto di residenza”.