Negli ultimi dieci anni è aumentato il numero degli esercizi costretti a chiudere: smart working, restrizioni e migrazioni verso altre attività, alla base del crollo. I numeri spaventano
La Fipe Confcommercio lancia l’allarme sulla sopravvivenza dei bar. Durante la tavola rotonda “Rilanciamo il Bar”, organizzata in occasione di Host, la fiera mondiale dedicata al mondo dell’accoglienza e della ristorazione in corso a Milano, sono stati elencati dei dati molto preoccupanti, che mettono in primo piano i problemi dei gestori dei bar. Il tasso di sopravvivenza di questo tipo di locali è calato in modo drastico nel corso dell’ultimo decennio. In Italia solo uno su due riesce a restare aperto. Una media che a Roma si abbassa ulteriormente.
Il fenomeno, secondo la Fipe, è dovuto in gran parte alla trasmigrazione verso codici di attività più vicini alla ristorazione per poter ampliare l’offerta e in parte alla cessazione di un numero elevato di attività: “dal 2012 a oggi – si legge sul sito della Fipe – infatti, il numero delle imprese che svolgono attività di bar nel nostro Paese è diminuito di ben 20.000 unità. Si tratta di un trend che non accenna ad attenuarsi come dimostrano anche i numeri rilevati durante il primo semestre del 2023, quando le imprese che hanno avviato l’attività sono state 1.132 e quelle che l’hanno cessata 1.838, con un saldo negativo di 706 unità”.
Il problema dello smart working
A Roma la situazione, per certi versi, sembra ancora più grave. Dal 2017 ad oggi a Roma e provincia, più della metà dei bar esistenti sono stati costretti ad abbassare la saracinesca. Un problema che si è accentuato in modo clamoroso durante gli anni della pandemia. E’ indubbio che le restrizioni, i lockdown, le regole che imponevano controlli e limitazioni molto rigide, abbiano portato i gestori dei bar a fare i conti con una serie di problemi ingenti, che hanno portato alla chiusura di numerose attività. “Questa modalità di lavoro ha spostato i flussi di clienti che si rivolgono ai bar. Vorrei ricordare come il bar sia un’attività ad altro contenuto di servizio. Non mi riferisco al “servizio al tavolo” che può fare un cameriere. Intendo il fatto che queste attività sono sempre aperte, quindi si ha un accesso costante al servizio che offrono. Per mantenere certi livelli ci sono dei costi enormi. Ecco perché i caffè costano 1 euro e 20 a fronte di una materia prima di 20 centesimi. I titolari, poi, sono quelli che lavorano di più e prendono uno stipendio come i dipendenti. Se fanno fatturato allora, spesso e volentieri, lo reinvestono nell’attività”, ha dichiarato il Vicedirettore Generale Fipe-Confcommercio, Luciano Sbraga.
I dati nella capitale: chiudono più bar di quanti se ne aprono
L’ultimo anno non fa che confermare il trend. Da gennaio a giugno del 2023 nella capitale si sono chiusi più bar, rispetto a quelli che sono stati inaugurati. Trentadue le nuove attività sorte sul territorio cittadino, mentre sono state ben 116, quelle che hanno chiuso i battenti: un saldo negativo di 84 bar. Il bar, da sempre, rappresenta uno dei servizi di maggiore utilizzo per i consumatori: aperti almeno 14 ore al giorno (ma non mancano gli h 24), gli esercizi hanno però subito l’evoluzione dei modelli di consumo. In un mondo che diversifica l’offerta, molti bar sono stati costretti a scontrarsi con nuove strutture specializzate, che offrono ai clienti una serie di servizi che contrastano la classica offerta della colazione, del caffè, dell’aperitivo e dei pranzi e cene. Se fino a qualche anno fa il bar era il luogo ideale per la colazione, per uno spuntino mattutino, o per un pranzo veloce prima di tornare al lavoro, oggi si sono diffuse nuove attività capaci di regalare ai clienti offerte sempre più dettagliate. Luoghi in cui si servono colazioni esotiche e varie, locali in cui consumare pasti rapidi, o che si sono specializzati in aperitivi o apericene, lasciando ai bar tradizionali, solo poche e sporadiche “esclusive”. Lo sviluppo dello smart working e l’innovazione digitale stanno ridisegnando i flussi di clientela dentro le città spingendo il bar alla ricerca di una nuova dimensione adattativa.
Roma, problemi e numeri shock: spariscono i bar al centro
Tornando ai dati della capitale, è facile imbattersi in una situazione drammatica. Nel primo semestre del 2023 erano 12.615 i bar attivi a Roma e in provincia. Un dato che si è abbassato di 84 unità. Ancor più preoccupante il confronto con i numeri degli ultimi dieci anni: nel 2012 erano 5454 i bar aperti in città: nel 2022 sono diventati 4206: 1248 attività sono state costrette a chiudere. La stragrande maggioranza si conta nel centro storico, che ha visto la sparizione di 261 locali (il 25,5%). Leggermente più basso, ma sempre evidente, il dato delle periferie (-22,3%).
“Lo scontrino medio di 4 euro non basta più”
Nel dibattito di Milano coordinato dal Vicedirettore Generale Fipe-Confcommercio, Luciano Sbraga, hanno partecipato Igor Nuzzi (Regional Director Italy & Iberia Lavazza Group), Barbara Mutti (Project Manager Industry AFH TradeLab), Sergio Paolantoni (Presidente Gruppo Palombini), Marina Porotto (Owner Biggie cocktail & bistrot), Enrico Leandro (Direttore Commerciale Forno D’Asolo) e Josep Feixa (Direttore Vendite Italia Gruppo Cimbali). “Quello dei bar è un settore che ben si presta a una duplice chiave di lettura: è al tempo stesso dinamico, grazie alla sua vitalità imprenditoriale, ma anche fragile, per via della forte pressione competitiva a cui è esposto. Fare fatturato con uno scontrino medio di appena 4 euro è sempre più difficile mentre i costi continuano a correre.”, ha commentato Sergio Paolantoni, Presidente di FIPE-Confcommercio Roma e del Gruppo Palombini. “L’iniziativa di oggi è stata l’occasione per discutere delle sfide che attendono il comparto tra mancanza di personale qualificato, orari di servizio, impennata dei costi e difficoltà di adeguamento dei listini come le cronache di questi ultimi mesi hanno ampiamente dimostrato. Oggi più che mai è urgente ripensare i modelli organizzativi per assicurarci da qui in avanti una maggiore sostenibilità del business e maggiori prospettive di sopravvivenza del format icona dello stile di vita italiano”.