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Roma allo specchio

La festa di Sant’Antonio da Padova a Roma

Se chiedessimo alle persone che incontriamo per strada chi è Fernando Martins de Bulhões quasi nessuno saprebbe rispondere, se invece chiedessimo chi è Sant’Antonio da Padova tutti risponderebbero in coro che è il santo del 13 giugno; in realtà questi due nomi indicano la stessa persona. 

    Antonio prima di diventare frate si chiamava Fernando e non era italiano, bensì portoghese. Nacque a Lisbona nel 1195 da una famiglia nobile e fu educato alla fede cattolica dai Canonici Regolari di Sant’Agostino. Nel 1219 venne ordinato prete, ma la vita lo avrebbe portato lontano dal Portogallo e dal suo ordine religioso. Nel 1220 giunsero a Coimbra i corpi di cinque frati decapitati in Marocco mentre predicavano il Vangelo; erano seguaci del Poverello d’Assisi. L’episodio colpì a tal punto il giovane sacerdote che, dopo aver ottenuto i dovuti permessi dai suoi superiori, decise di entrare nel Romitorio dei Frati Minori e di mutare il suo nome in Antonio. 

    In occasione del Capitolo Generale si recò ad Assisi dove ebbe modo di ascoltare San Francesco a Santa Maria degli Angeli. Fu proprio quest’ultimo a ordinargli di diffondere la parola di Dio e infatti, dopo un anno e mezzo trascorso nell’eremo di Monte Paolo, Antonio iniziò a predicare in Romagna, poi in Italia settentrionale e in Francia. I suoi sermoni attiravano sempre una gran folla di persone e anche gli animali; si dice che una volta a Rimini, trovando le chiese e le piazze vuote perché in città c’era un gran numero di eretici, predicò ai pesci del mare, proprio come Francesco aveva rivolto la sua predica agli uccelli e aveva ammansito il lupo di Gubbio. Il 13 giugno del 1231, mentre si trovava a Camposampiero, si sentì male e chiese di essere portato a Padova, dove spirò nel convento dell’Arcella.

    Nel corso della sua breve vita questo straordinario frate non aveva solo annunciato il regno di Dio, ma aveva anche operato ogni sorta di miracoli, dalle guarigioni, alle conversioni, alla cacciata dei demoni, alle risurrezioni. La fama di santità di cui godeva al momento della morte era talmente grande che fu canonizzato dopo soli undici mesi da Gregorio IX e molti secolo dopo, nel 1946, Pio XII gli conferì il titolo di Dottore della Chiesa. 

    A Roma il culto del “padovano di adozione” fu sempre molto fervente, infatti a lui erano dedicate alcune chiese nei pressi di San Pietro in Montorio, del Laterano, di San Girolamo degli Schiavoni, della Mole Adriana e nel Rione Trevi, tutte demolite, tranne una nel Campo Marzio e l’oratorio settecentesco in Via Aurelia Antica. Il 13 giugno, giorno della sua festa, le raccoglitrici di fragole si riunivano in Campo dei Fiori e, precedute da un uomo muscoloso che portava sulle spalle una piccola edicola contenente una statuina del santo con ai lati due cestini di fragole foderati di carta d’argento, percorrevano le strade al suono dei tamburelli e andavano a chiedere una mancia ai loro clienti abituali. Achille Pinelli ha conservato il ricordo di questa tradizione in un acquerello del 1833, oggi conservato al museo di palazzo Braschi, in cui si vede il corteo passare a Piazza della Rotonda.

    Queste sono storie di Roma, ma ognuno di noi, se nato in una famiglia cattolica, ha un personale ricordo di Sant’Antonio legato ad una grazia ricevuta, ad una nonna devota, ad una statuetta speciale, ad un’immaginetta messa sotto il cuscino in un momento di difficoltà. 

    Nonostante sia morto nel 1231, Antonio nel cuore dei suoi fedeli resta sempre un giovane frate che tiene in mano un libro su cui è poggiato Gesù Bambino, uno che grazie all’incessante studio dei testi sacri e alla predicazione ha potuto conoscere il suo Signore; proprio per questo è così amato dai giovani, soprattutto dagli studenti, che continuano ad affidargli il loro sogno più grande, quello di terminare il loro percorso di formazione e conquistare un posto nella società. 

   

Alessandro Gerundino

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