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Roma Capitale

Formello: Chi ha voluto la morte del Giudice Giovanni Falcone?

Giuseppe Costanza

Una strage organizzata e messa in atto dalla mafia, una vera e propria dichiarazione di guerra allo Stato, questo è quello che accadde il 23 maggio 1992, alle 17.56, lungo l’autostrada che collega Palermo all’aeroporto di Punta Raisi, nei pressi dello svincolo di Capaci.

Le auto su cui viaggiano il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta, saltano letteralmente in aria, investite da una potente esplosione causata da 500 kg. di tritolo.

Nel corso dell’attentato mafioso, oltre al giudice e la moglie, persero la vita anche gli agenti di scorta Vito SchifaniAntonio Montinaro e Rocco Dicillo. Solo una persona si salvò quel pomeriggio del 23 maggio 1992, si tratta di Giuseppe Costanza, uomo di fiducia e autista giudiziario del giudice Giovanni Falcone.

Ieri sera, a Formello (RM), presso la Sala Grande di Palazzo Chigi, nell’ambito di un tavolo di confronto in cui ha voluto presentare il suo libro dal titolo Stato di abbandono, Giuseppe Costanza ha ripercorso tutti gli anni che lo hanno visto a fianco del giudice Falcone (1984 – 1992), per poi proseguire fino ai giorni nostri, in cui denuncia un pressochè disinteresse e abbandono da parte delle Istituzioni.

Presente al tavolo di confronto anche il magistrato Salvatore Sfrecola e il moderatore ambasciatore Vincenzo Prati.

In prima fila, tra gli ospiti del convegno, l’Ammiraglio De Giorgi, il Comandante della locale Stazione Carabinieri, il Presidente della banca locale Angelo Puccioli, la Preside del locale istituto comprensivo Filomena Barbato ed il Parroco del paese.

Curiose ed interessanti le storie e gli aneddoti raccontati da Costanza; dalla richiesta di Falcone nel voler a tutti i costi guidare l’autovettura quell’ormai triste e famoso 23 maggio 1992, fino alle tante battaglie per il riconoscimento di alcuni diritti che all’epoca non erano ancora previsti per il personale civile della Pubblica Amministrazione.

Pochi giorni prima dell’attentato Falcone mi disse con grande soddisfazione è fatta, io sarò il Procuratore nazionale antimafia, pertanto ci organizzeremo come Ufficio a Palermo e ci muoveremo con un piccolo elicottero chiamato Moschito.

Costanza aggiunge: “per me quell’attentato di Capaci è stato un depistaggio perché Falcone avrebbero potuto farlo fuori a Roma, dove però le indagini avrebbero preso tutt’altra piega; chi ha avuto paura della sua nuova carica di Procuratore Nazionale Antimafia? “

Giovanni Falcone, insieme al giudice Borsellino, rappresentava il simbolo della lotta dello Stato alla mafia, esemplificata dal maxiprocesso che mise alla sbarra i più importanti boss di Cosa Nostra; egli voleva ricostruire il Pool Antimafia “e questo faceva paura a qualcuno” aggiunge Costanza.

Altro aneddoto interessante raccontato è quello del fallito attentato dell’Addaura, dove il Giudice Falcone era solito trascorrere le vacanze. Costanza racconta di come Falcone quella mattina lo chiamò per chiedergli di raggiungerlo nella villa dove soggiornava e di come lui ed un uomo della scorta trovarono sulla scogliera antistante la villa una borsa sospetta con sopra una muta da sub. Quella borsa fu fatta brillare dagli artificieri in maniera chirurgica” riferisce Costanza, ma nel corso delle indagini qualcosa non andò nel verso giusto. Il timer della bomba andò distrutto, così stabilirono le indagini ufficiali, ma vi assicuro che l’artificiere quando fece brillare la bomba lo fece in maniera chirurgica tale da preservarne la sua integrità” e quando il magistrato mi chiese:“cos’è questo discorso della bomba?”, “ma lei l’ha vista?”, ebbi come la sensazione che pensassero che la bomba fosse stata messa li da Falcone stesso.

Ciò che ha spinto Costanza a raccontarsi al giornalista e scrittore Riccardo Tessarini nel libro “Stato di Abbandono” è stata l’indifferenza delle istituzioni, che per oltre vent’anni lo hanno completamente ignorato senza invitarlo nemmeno alle commemorazioni ufficiali.

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