Termini, stuprate due ragazze a Roma per un provino: a giudizio il colpevole

Erano state attratte nella capitale con la scusa di un provino per la Rai, contattate su Facebook da un giovane ragazzo che aveva promesso loro di poterle introdurre nel mondo televisivo.

Le aveva portate a fare compere, regalando due paia di scarpe e riempiendole di complimenti; poi al momento di pernottare le accompagna in un albergo vicino Termini e sale nella camera matrimoniale che aveva prenotato. Dopo aver bevuto e fumato l’aggressore si è messo all’opera, violentando entrambe le ragazze.

Le vittime avevano avuto dei sospetti sin dall’inizio, ma il fatto di aver consumato alcol e droga le ha fatte desistere dal chiamare le forze dell’ordine.
Si è saputo dopo che quel ragazzo con capelli lunghi e gli occhi neri non si chiamava Said ma Qadir, un afgano irregolare di 24 anni. E mentre le vittime, una sedicenne e una diciassettenne originarie di Gallarate, si preparano a raccontare davanti al tribunale l’orrore subito.

Le ragazze hanno bussato agli uffici della Polfer per denunciare. Testimonianze convergenti per gli investigatori.
“La mia amica – ricorda la sedicenne, davanti a una psicologa – aveva conosciuto Said su un social tramite amici comuni. Lei gli aveva detto del nostro progetto di fare un breve viaggio a Roma. E lui si è offerto di pagarci il biglietto. In treno abbiano scoperto che era fasullo. Lo abbiamo trovato ad attenderci a Termini”. Per lei l’incubo è stato ancora peggiore: dopo lo stupro si è accorta di essere incinta e ha deciso di abortire.

Non avevano capito, agli inquirenti hanno raccontato della passeggiata e delle birre bevute insieme.
“A me ha comprato un paio di scarpe da Tally Weijl. Alla mia amica da Foot Loker”. Ma noi ci siamo comunque mandate dei messaggi per dirci che avevamo paura di lui. Troppa gentilezza. Speravamo che ci pagasse anche l’albergo e poi andasse a casa sua. Invece aveva prenotato una matrimoniale. Abbiamo gridato? Avevamo bevuto e fumato uno spinello”.

L’avvocato Alessio Tranfa, difensore d’ufficio dell’afgano, in assenza dell’imputato, punta alla consensualità.

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