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Summit in Vaticano, dal cardinale americano Blase Cupich la prima proposta operativa in campo di lotta alla pedofilia nella Chiesa

Arriva dal cardinale americano Blase Cupich di Chicago la proposta più operativa fino ad ora formulata in campo di lotta alla pedofilia nella Chiesa;
una bozza di procedura “penale” che non mira alla creazione di un tribunale ma piuttosto così come appare chiaro nella ‘road map’ in 21 punti consegnata da papa Francesco ai partecipanti al summit in Vaticano sulla protezione dei minori, nella quale viene esplicitamente detto: “Informare le autorità civili e le autorità ecclesiastiche superiori nel rispetto delle norme civili e canoniche”; laddove possibile (si escludono i paesi governati da regimi illiberali) si dovrà andare dai magistrati appena la notizia di reato è certa o comunque fondata.

Un coinvolgimento dei laici nella fase di ricevimento delle denunce.

Regole a livello di conferenze episcopali nazionali per condurre le indagini dei vescovi, ove consultare esperti laici in accordo con il diritto canonico e fare riferimento al Metropolita (arcivescovo che preside una provincia ecclesiastica), il tutto senza pregiudizio per l’autorità della Santa Sede.

I meccanismi per presentare denuncia di abusi o maltrattamenti nei confronti di un vescovo dovrebbero essere trasparenti e ben noti ai fedeli con la creazione di meccanismi di segnalazione indipendenti, sotto forma di una linea telefonica dedicata o un servizio di portale web per ricevere e trasmettere le accuse direttamente al Nunzio Apostolico, al Metropolita del vescovo accusato o, se necessario, al suo sostituto e a qualsiasi esperto laico previsto dalle norme stabilite dalle Conferenze Episcopali.
Il coinvolgimento di esperti laici per offrire assistenza da ora in avanti diventa necessario per il bene del processo e il valore della trasparenza.
Altri requisiti e procedure per riferire alle apposite autorità ecclesiastiche da parte dei membri del clero che siano a conoscenza della cattiva condotta di un vescovo.

Primo atto, assistenza alle vittime e alle famiglie La fese procedurale dovrebbe prevedere: a) assistenza alle vittime e alle famiglie, b) la segnalazione di un reato non dovrebbe essere ostacolata dalle regole ufficiali di segretezza o riservatezza, c) nessuna persona dovrebbe essere discriminata o vittima di ritorsioni, basandosi sulla denuncia di un’accusa contro un vescovo alle autorità ecclesiastiche, d) dovrebbe essere prestata dovuta attenzione ad includere donne e uomini laici competenti, con esperienza nel processo dall’inizio alla fine, per rispetto dei principi di accountability (il dover rendere conto) e trasparenza, e) qualora fosse necessario, e in qualsiasi momento durante l’indagine, il Metropolita dovrebbe essere in grado di raccomandare alla competente della Curia congregazione romana che siano adottate misure precauzionali appropriate, incluso il ritiro temporaneo e pubblico dell’accusato dal suo ufficio.

Se l’accusa è fondata si chiede autorizzazione a Roma.
Se l’accusa ha parvenza di verità, che l’arcivescovo dovrebbe essere libero di determinare con l’aiuto di esperti laici, lo stesso può chiedere alla Santa Sede l’autorizzazione a indagare. La natura esatta dell’indagine, sia essa penale o amministrativa, dipenderebbe dalle accuse. Questa richiesta deve essere inoltrata senza indugio e la congregazione dovrebbe rispondere immediatamente. g) Dopo che il Metropolita ha ricevuto l’autorizzazione, dovrebbe rapidamente raccogliere tutte le informazioni pertinenti, in collaborazione con gli esperti laici, per assicurare l’esecuzione professionale e rapida delle indagini e la loro veloce conclusione. H) Qualsiasi indagine dovrebbe essere condotta con il dovuto rispetto per la privacy e il buon nome di tutte le persone coinvolte. Ciò non esclude, tuttavia, una Conferenza Episcopale che adotti norme per informare i fedeli delle accuse contro il vescovo in qualsiasi fase del processo. Allo stesso tempo, è importante che all’accusato sia accordata la presunzione di innocenza durante l’inchiesta. Al termine dell’indagine, il Metropolita dovrebbe inoltrare gli acta, comprese tutte le informazioni raccolte con l’aiuto di esperti laici, insieme al suo voto, se richiesto, alla Santa Sede.

Un fondo comune per le spese delle indagini Un fondo comune può essere istituito a livello nazionale, regionale o provinciale per coprire i costi delle indagini dei vescovi, tenendo debitamente conto delle norme di diritto canonico per la sua amministrazione. k) La competenza del Metropolita cesserà una volta completata l’indagine, ma potrebbe essere estesa per assicurare il proseguimento della cura pastorale o per altri motivi specifici. L’elaborazione del caso di un vescovo procede da questo punto secondo le norme della legge universale. Conformemente al diritto canonico, la Santa Sede prenderà in considerazione il caso di un vescovo a fini di risoluzione con un procedimento amministrativo o penale o altra disposizione, oppure la Santa Sede può restituire il caso al Metropolita con ulteriori istruzioni su come procedere