Coronavirus, il racconto di un ingegnere ricoverato: “Sono entrato nel panico”

Fabio Valzecchi è un ingegnere aerospaziale di 59 anni, che la scorsa settimana è stato ricoverato allo Spallanzani in terapia intensiva pichè positivo al Covid19.

Pochi giorni dopo aver accompagnato il figlio in ospedale per togliere il gesso, l’uomo ha accusato i primi sintomi come febbre e difficoltà respiratorie.
“Ho avuto un attacco di panico, non appena mi hanno messo il casco per respirare. Il medico, Francesco un dottore giovanissimo, mi ha preso la mano per calmarmi. Con tanta pazienza mi ha spiegato che se non tenevo il casco mi avrebbe dovuto intubare e a quel punto, non sapeva come e quando ne sarei uscito” racconta l’uomo.

La sua storia:
“Sono arrivato già in condizioni serie. I medici quindi mi hanno subito messo il casco per aiutarmi a respirare. Non credevo che avrei accusato una reazione tanto violenta. Dopo 4 ore di terapia ho iniziato ad avere problemi.
Non solo non riuscivo a respirare, ma ho avuto anche un forte attacco di panico. Sentivo il cuore molto accelerato e a quel punto il medico e gli infermieri sono, letteralmente, corsi al mio letto. Continuavo a chiedere di toglierlo. Piangevo anche, non mi vergogno di ammetterlo.
Il dottore si è seduto accanto a me, mi ha preso la mano e mi ha parlato come se fossi suo padre. Francesco è un medico giovanissimo e posso dire che a salvarmi più che le cure, è stato il suo affetto e la sua pazienza. Mi ha spiegato con molta calma che se avessi tolto il casco, per me non ci sarebbero state molto speranze perché avrebbe dovuto intubarmi. E la procedura, in quel caso, è molto più invasiva.

Per quanto riguarda il casco: “Non si può togliere fino a quando il livello di saturazione non sale. Questo significa indossarlo sempre notte e giorno. Il rumore, all’interno, è molto violento. Il medico prima, e le infermiere poi, non mi hanno lasciato un istante fino a quando non mi sono calmato.
Non potevo comunicare con la mia famiglia, ero isolato e spaventato. Credo che tutti questi fattori abbiano scatenato una reazione così violenta. Ma la vera cura, per me, è stato il personale ospedaliero”.

Infine conclude: “Siamo in tanti, tutti con problemi respiratori. Abbiamo il casco o il respiratore e ogni medico, ogni infermiere, ci dedica cure e attenzioni. Questo virus è pericoloso. Ho prestato tutte le precauzioni eppure mi sono contagiato. Ora, sto lentamente migliorando e il merito, lo ripeto, è solo di questi medici che si spendono notte e giorno per aiutarci. È un’esperienza terribile ma allo stesso tempo ho avuto un’occasione, irripetibile, di conoscere l’umanità e il calore di medici giovani e competenti”.

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