Virginia Raggi al Messaggero: “Puntare sulle regioni centrali per far ripartire l’intero Paese”

Riportiamo la risposta della sindaca Virginia Raggi al quotidiano Il Messaggero.

“Gentile direttore, intervengo volentieri nel dibattito lanciato dal Messaggero sulla “questione Italia Centrale”. Così, sulle pagine di questo giornale è stata indicata l’opportunità di puntare sullo sviluppo delle regioni centrali, e in particolare delle loro città, per far ripartire l’intero Paese. 

È una prospettiva molto interessante. Roma vuole rivestire un ruolo di primo piano, ponendosi all’avanguardia della rivoluzione sociale ed economica che sta investendo l’intero pianeta. Bisogna avere il coraggio delle proprie idee e di osare. L’Italia, Roma e tutte le regioni e città del centro-Italia sono la culla di vere eccellenze nel settore della ricerca scientifica, dell’impresa, dell’istruzione e rappresentano un modello di qualità della vita riconosciuto e invidiato. 

E’ evidente che ci sono alcuni gap, soprattutto infrastrutturali, da colmare ma va cambiata la narrazione negativa del modello di sviluppo socio-economico del nostro territorio. Anche per questo ho avanzato la proposta di Roma Expo 2030: una candidatura non solo della nostra città ma dell’intero Paese, delle regioni del centro Italia con una attenzione particolare al nostro Mezzogiorno. 

Qualsiasi riflessione non può non tener conto del contesto attuale, segnato dalla pandemia. Il Covid, infatti, sta modificando in modo irreversibile le nostre vite: modalità di lavoro, modelli di consumo, socialità, rapporto con il territorio. Non capire cosa sta accadendo attorno a noi significa porsi al di fuori di un cambiamento a livello globale e condannarsi all’isolamento e alla regressione. L’emergenza sanitaria – pur limitando in modo drastico gli spostamenti delle persone tra nazioni (addirittura anche tra città della stessa nazione) con una incidenza molto rilevante su turismo – ha paradossalmente comportato una accelerazione su scala planetaria dei processi di innovazione nei servizi e nel lavoro: lo smart working, l’insegnamento a distanza, gli acquisti sul web sono prepotentemente entrati nella quotidianità della maggior parte delle persone, modificando le nostre abitudini e aspettative. Si tratta di un’evoluzione impensabile fino allo scorso anno. 

Questa constatazione comporta, quindi, delle immediate reazioni da parte dei territori per evitare che le comunità locali restino escluse dal progresso economico e sociale che sta investendo l’intero pianeta. La sfida locale diviene necessariamente globale. In tal senso il recupero del rapporto con il proprio territorio è condizione necessaria per qualsiasi prospettiva di crescita.

Periferie e istruzione, infrastrutture per la mobilità sostenibile; energie rinnovabili e risparmio energetico; nuovi criteri costruttivi; bioedilizia ed efficientamento energetico; housing sociale con consumo del suolo a saldo zero; messa in sicurezza dell’esistente, delle scuole, del territorio, a partire dal suolo, dal verde, dalle acque; investimenti sul digitale; nuove tecnologie. E’ un lungo elenco ma sono queste le parole chiave per fare parte della rivoluzione che ci attende. 

Una rivoluzione che ha necessariamente bisogno di investimenti. Oggi il Recovery Fund, le ingenti risorse che dall’Europa – quindi anche da noi contribuenti italiani dell’Europa – rientrano nel sistema Paese sono un’opportunità per il rilancio. Quei fondi rappresentano risorse da impiegare bene e subito per una profonda rigenerazione urbanistica e sociale delle nostre città, delle nostre periferie e delle nostre economie. Iniziando proprio dal Centro-Sud. Dai luoghi che più di altri hanno scontato il gap di decenni di “casse del mezzogiorno”, di infrastrutture fantasma, di ponti e viadotti malmessi, di cattedrali nel deserto e grandi incompiute, di industrializzazioni promesse e mai realizzate, di un dissesto idrogeologico senza fine, della totale mancanza o quasi di investimenti nella prevenzione antisismica. 
Le risorse dei fondi europei rappresentano l’occasione per far entrare il Paese in una fase di sviluppo nuova, caratterizzata da un modello di crescita differente dai decenni passati. Una vera transizione ecologica anche del modo di amministrare le comunità: quei fondi devono servire a rimettere in piedi le economie locali e a creare nuovi posti di lavoro. Un new deal post-Covid può diventare la chiave della ripartenza del Paese dopo la pandemia se saremo in grado di applicare un nuovo paradigma. 

Dall’Europa abbiamo ottenuto, anche grazie ad una sapiente azione “diplomatica”, oltre 200 miliardi di euro. Dobbiamo immaginarli come una leva di investimento capace di produrre e attrarre nuovi investimenti, moltiplicando il valore iniziale di dieci, venti volte. 

Per fare questo dobbiamo immaginare ogni euro del Recovery Plan per l’effetto moltiplicatore che potrà generare sul sistema Paese. Porto un esempio di questo approccio: uno dei punti fermi del piano di salvataggio di Atac – l’azienda del trasporto pubblico romano, 880 milioni passeggeri, 12mila lavoratori e 12mila famiglie – è stata quella della rigenerazione del suo parco mezzi con nuove commesse, 900 autobus in 5 anni. Grazie a questi ordinativi partiti dalla Capitale è stato possibile risollevare un’azienda italiana, l’Industria Italiana Autobus, l’ex Irisbus in provincia di Avellino, che rischiava di fallire e mandare a casa altri operai, altre famiglie. 

Oggi il Recovery Fund ci presenta l’occasione di ripensare il governo delle nostre città, dei nostri territori in una dimensione nuova di coesione nazionale, in cui ogni intervento può portare un effetto virtuoso su altre economie e settori connessi. Abbiamo soprattutto bisogno che quei fondi vadano verso le imprese italiane, le nostre imprese, e che atterrando sul territorio producano un effetto domino necessario a creare occupazione. 

In questi mesi abbiamo lavorato a progetti ispirati a questo paradigma, ad esempio per la messa in sicurezza del patrimonio verde di Ostia, la pineta di Castel Fusano, è nata la collaborazione tra le Agenzie spaziali europea e italiana, e con un consorzio di imprese italiane, di cui è capofila Leonardo spa, in grado di mettere in campo l’eccellenza mondiale nel campo della tecnologia satellitare. Sinergie con il territorio di cui imprese private e Atenei pubblici possono essere insieme ai Comuni pilastri del rinnovamento e della rinascita.
Per fare bene e velocemente, per creare questo effetto virtuoso, è necessario un intervento legislativo che renda la semplificazione la regola. Semplificare le norme sugli appalti, semplificarle per le amministrazioni e per le imprese, rendere strutturale quanto oggi prevede a il DL Semplificazioni. Oltre l’emergenza Covid.

Come amministrazione della più grande città d’Italia e come Associazione nazionale dei comuni italiani lo chiediamo da tempo a gran voce. Abbiamo bisogno di ritrovare l’orgoglio di ripensarci in un’ottica solidale e nazionale. Altri Paesi, altre economie, hanno agito così e superato le crisi più dure. E’ un momento storico cruciale, che richiede ogni sforzo, il più grande investimento nelle energie sociali ed economiche del Paese, tutto intero.

Questo processo dobbiamo guidarlo. Abbiamo delle tappe importanti lungo il nostro cammino: il Recovery Fund, il Giubileo del 2025 e la candidatura all’Expo 2030. Il percorso da intraprendere è ricco di opportunità da cogliere. Abbiamo la possibilità di riscrivere il nostro futuro con uno slancio innovativo”.

Fonte: Il Messaggero

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