Wonka: ecco la Fabbrica del politicamente corretto

Il prequel in cui viene raccontata l’origine della leggenda di Willy Wonka, è da poco sbarcato nelle sale di tutto il mondo. Paul King ha fatto centro?

Avete presente quando addentate una modesta tavoletta di cioccolato al latte? Ecco, quella sensazione di semplicità, abbinata al gusto ingenuo, diretto e poco ricercato, sarà esattamente ciò che vi troverete a provare al termine di Wonka, il nuovo film, sostanzialmente natalizio, sulle origini del cioccolatiere più famoso di sempre.

Wonka (screen Instagram) – Romacityrumors.it

Il film, diretto da Paul King (regista del rassicurante Paddington), assomiglia da vicino proprio ad una favola natalizia delle più classiche, con tanto di buoni sentimenti, un protagonista ingenuo, sempre ben disposto verso il prossimo, e una perpetua dolcezza in sceneggiatura.

Un natale dolce… forse troppo

E’ vero… Il film tenta, anche con sorprendente convinzione, a inserire la politica nell’intreccio, ma, sfortunatamente, lo fa attraverso personaggi fin troppo stereotipati, come se vi fosse un bene (i protagonisti) e un male (i “villain”). Tutto è semplificato e ridotto a macchietta, per tentare di abbracciare il pubblico più ampio possibile, ma ricordiamo che La Fabbrica di cioccolato (2005), uscito quasi vent’anni fa, segnò un generazione intera senza la necessità di semplificare allo sfinimento la composizione del mondo. Difatti, nel gioiello di Tim Burton, non vi era un reale “cattivo”, ma soltanto una sottile e gustosa lotta con i propri demoni, con le proprie paure. In questo caso, Timothée Chalamet si ritrova nei panni di un Willy costantemente anestetizzato sul piano emotivo, capace soltanto di provare gioia, speranza ed empatia. Certo, potreste obiettare che vi sia una massiccia e stimolante ombra esistenziale nella figura della madre scomparsa, ma la verità è che, anche in questo caso, si tratta soltanto di un ricordo gentile, mai complesso e sempre generatore di luce.

Johnny Depp in La Fabbrica di Cioccolato (foto Ansa.it) – Romacityrumors.it

Al contrario, il signor Wonka di Depp, otteneva il mistero, il tormento e, soltanto in seconda battuta, la risoluzione di un trauma stratificato. L’importanza della Fabbrica di Cioccolato non era casuale, non era un semplice sogno scaturito dal cioccolato fatto dalla propria madre durante l’infanzia, ma diveniva il potente palliativo alla profonda crepa nella psicologia di Willy. Più cioccolata veniva venduta e più strati si aggiungevano a coprire la malinconia di un giovane rifiutato dal proprio padre. Stavolta, al contrario, tutto è positivo, già risolto e, dunque, meno stimolante sul piano squisitamente dramamaturgico. L’unico vero ostacolo da superare è l’ostruzionismo del mondo rispetto al successo di Willy come negoziante, ma nulla di tutto ciò trova dimora nell’emotività del personaggio principale. A tratti, la stucchevole positività di Willy finisce persino per sfociare nel commovente, soprattutto quando lo si vede lottare col sorriso ad ogni frustrante evoluzione del suo percorso, ma ciò non basta ad ottenere quella stratificazione psicologica che ci si aspetta dopo due predecessori ben più forniti sotto questo punto di vista.

Wonka (foto Ansa.it) – Romacityrumors.it

In effetti, questo Willy Wonka appare, per molti versi, il fulgido prodotto della contemporaneità: a differenza dei predecessori, sembra che il film abbia timore di mostrarci i sentimenti reconditi di Willy, anche quando questi non sarebbero esattamente quelli più politicamente corretti da provare. Chalamet è sempre perfetto, gentile e attento all’altro. Persino la cieca ambizione, non è in realtà mai davvero cieca, poiché il protagonista si preoccupa sistematicamente delle conseguenze delle proprie azioni sul prossimo, anche a costo di farsi fragorosamente ingannare dal mondo. C’è da ammetterlo però: quando uscirete dalla sala, non proverete quella fastidiosa sensazione di aver sprecato due ore per vedere qualcosa di superfluo, ma, seppur sprovvisti di emozioni complesse, potrete dirvi curiosamente deliziati, proprio come aver appena morso quella tavoletta di cui si faceva cenno all’inizio di questa riflessione su pixel.

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