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Cultura e Spettacolo Roma

The Family Man: meglio una Ferrari o una famiglia?

Tuffiamoci dentro uno dei prodotti audiovisivi più rappresentativi del periodo natalizio.

The Family Man è uno dei film natalizi più visti e apprezzati di sempre e, proprio per questo, appare utile e interessante tentare di comprendere dove risieda l’efficacia narrativa di questo classico per le feste.

The Family Man (screen Instagram) – Romacityrumors.it

Rubare non è necessariamente un crimine e, piuttosto, in ambito artistico, pare essere la prassi, come un pittore piuttosto noto ci fece notare in passato (Picasso: “I bravi artisti copiano, i geni rubano”). Difatti, questa pellicola si ispira piuttosto platealmente ad altre pietre miliari del genere.

Una bella copia

Jack… Sei il vanto del capitalismo”, questa una delle prime frasi che sentirete guardando The Family Man (2000). Ma se il capitalismo non fosse il bene di Jack e, quindi, di ognuno di noi? Certo, sarebbe difficile trovare una valida alternativa a tale sistema economico, ma se non si trattasse semplicemente di seguire le tesi del caro e vecchio Karl Marx, ma piuttosto di individuare dei limiti allo spasmodico consumo di massa? Se ognuno di noi decidesse di non inseguire disperatamente la ricerca dell’apparenza a tutti i costi e si accontentasse di un semplice abito di seconda mano? Diciamocelo… In tal caso staremmo parlando di un mondo utopistico, in cui la propria affermazione personale, passerebbe in secondo piano, a favore della realizzazione di un piacevole contesto familiare. Il mondo non sarebbe quello che conosciamo e, a prescindere dal capitalismo, l’uomo avrebbe agito in maniera sensibilmente diversa rispetto a quelle che sono le tappe più significative dell’umanità… Le stesse che ci hanno permesso di abitare in una casa con riscaldamento, un comodo letto e senza infiltrazioni d’acqua.

The Family Man (screen Instagram) – Romacityrumors.it

Tuttavia, ci sono alcuni di noi, ancora in grado di ignorare con sorprendente facilità le distorte dinamiche del “soldo a tutti i costi”. In Family Man, si ragiona proprio intorno a quest’atavico quesito esistenziale che, dalla comparsa del capitalismo, è divenuto sempre più urgente. L’ambientazione, non poteva che essere New York City, la città simbolo del novecento e, dunque, della moderna concezione del capitalismo. Il protagonista, non poteva che essere un affamato broker di Wall Street, costantemente occupato a rimpinzare le proprie tasche, per garantirsi una vita dagli standard elevati. Con il passare dei minuti, si potrebbe obiettare che il film appaia sostanzialmente come un furbo incrocio tra La vita è meravigliosa (1946) di Frank Capra e A Christmas Carol di Charles Dickens e, di fatto, non ci si allontanerebbe particolarmente dalla realtà dei fatti. Tuttavia, bisogna precisare che, anche copiare e reinventare, possa essere un lavoro nobile, anche e soprattutto se il risultato è quello ottenuto con questo piacevole lungometraggio.

Cos’è il successo?

E’ ovvio, The Family Man non sarà mai considerato quanto i due capolavori sopracitati, ma dubitiamo che fosse l’obiettivo di coloro che ne hanno concepito la produzione. A tratti, il modo in cui questi riferimenti culturali sono portati su schermo in salsa “moderna”, stupisce in quanto a qualità della messa in scena e della sceneggiatura, sempre ben dosate e mai sgradevoli. Dunque, originalità e sorpresa non sono certamente i punti di forza di The Family Man, che, tuttavia, conosce alcuni sorprendenti picchi di profondità. Difatti, il rapporto tra Jack e Kate rappresenta il centro drammaturgico del racconto, fungendo non soltanto da componente prettamente romantica, ma anche e soprattutto da fonte di riflessioni socio-economiche inaspettate. Le ossessioni e le priorità di Jack, che in un primo momento potrebbero sembrare quasi razionali agli occhi di uno spettatore, vengono delicatamente demolite dalla dolcezza di Kate. Tuttavia, non si tratta di quella macchiettistica dolcezza femminile, malamente stereotipata per decenni da sceneggiatori uomini, ma semplicemente di una visione della vita pura e genuina, scevra da qualsiasi sovrastruttura che vada oltre il concetto di rapporto umano.

The Family man (screen Instagram) – Romacityrumors.it

Quando, per una serie di sviluppi, il peronsaggio di Jack si ritrova improvvisamente padre di due figli, marito di Kate e soprattutto squattrinato, il film inizia a mostrarci le sue perle più preziose, tra le quali, si nasconde un dialogo essenziale per l’economia dramamturgica del testo filmico in questione. Frustrato dall’impossibilità di comprare ciò che desidera, Jack si ritrova in macchina con la moglie a elencare con fare sarcastico le deludenti tappe esistenziali della propria vita, ed è in questo preciso momento del film, che il personaggio di Kate invertirà drasticamente la visione di Jack e, quindi, dello spettatore. Subito dopo il deprimente elenco, Jack chiederà alla moglie di commentare il proprio percorso di vita, ricevendo una risposta semplicemente commevente. “La mia (orribile) vita in due parole… Tu invece come la definiresti?“, chiede Jack a Kate, che risponde con tono soave: “La storia di un grande successo…“.  Insomma… Nulla di rivoluzionario, ma pretendere un approccio sovversivo da un film natalizio di inizio millennio, sarebbe piuttosto ingenuo da parte di uno spettatore contemporaneo.