Buoni sentimenti? Sì, ma con intelligenza! Il segreto di Wonder

Stephen Chbosky non può essere ancora definito un veterano del mondo cinematografico, ma è certo che già dal suo primo lavoro dietro la cinepresa Il ragazzo da parete (da noi arrivato come Noi Siamo Infinito) lo scrittore statunitense di Pittsburgh non è passato inosservato come regista. Lo aveva infatti notato la Disney, che proprio di recente gli aveva affidato la sceneggiatura del live-action con incassi da record La bella e la Bestia: forse intuendo quel “qualcosa in più” in professionisti del settore già affermati. Eppure eccolo ancora qui Chbosky che ritorna dietro la macchina da presa con questo Wonder, adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di R. J. Palacio.

La trama, qui nel film, vede l vicende del piccolo August “Auggie” Pullman e della sua famiglia: il bambino è nato con una seria malformazione facciale, un fatto non indifferente, e adesso, dopo anni di insegnamenti privati tenuti dalla madre, entra in una scuola vera e propria per fare la prima media. Da qui in poi la pellicola si snoda tra situazioni tipiche da scuola americana e le dinamiche interne della famiglia Pullman e vicini: tutte queste passano sotto lo sguardo e la narrazione di quattro dei protagonisti più giovani che, come una lente di ingrandimento, focalizzano i passaggi della storia fino alla fine. C’è quindi una prima parte raccontata da Auggie, con le sue paure ma anche con la sua “santa” ironia di chi sa cogliere comicità nelle cose più piccole; c’è poi Olivia, detta Via, che tra le nuove sfide tipiche di un’adolescente (rapporto difficile con i genitori, nuovo amore, amicizie in difficoltà, etc.) deve comunque fare i conti con il dramma di un fratellino e la sua vita difficile; Miranda, migliore amica di Via, racconta il suo affetto per i Pullman e il lento ricongiungimento con questi; Jack Will, il primo e migliore amico di Auggie, narra il protagonista e quelle cose meravigliose che guardandolo riesce a cogliere.

Il guardare è il centro del film, il nodo da cui tutti gli elementi, scene e riflessioni, si diramano: tutta la storia di Auggie infatti è concentrata proprio ad uno sguardo alla realtà più vero e consistente, da cui poi ogni comportamento e gesto deve scaturire. Ma è interessante vedere proprio nello scorrere delle varie situazioni come il “guardare diversamente” non è una semplice alternativa morale, anzi è una tra le scelte pi difficile: non a caso la cosa più bella è proprio la lealtà del bambino Auggie che se da un lato sa riconoscere tutta la forza dell’amore familiare, dall’altro però non può censurare una domanda di verità proprio su questo. E qui sta proprio tutta la genialità di Chbosky nel saper dimostrare come il bene e le risposte ad esso collegate non possono essere frutto di semplice convincimento emozionale, sentimentale: ci vogliono fatti che sconvolgano il cuore; fatti, miracoli, con cui crescere e da cui lasciarsi educare. Non passa di certo poi in secondo piano come anche i genitori, o lo stesso preside della scuola non siano adulti impostati con certezze granitiche, ma che al contrario devono sì mettere al centro i loro sentimenti di affetto senza però restarne travolti per dare a tutti i costi un risposta banale. In questo senso colpisce quel “Non lo so…” che la madre risponde al figlio quando le chiede cosa sarebbe successo in seguito al suo ingresso a scuola: vedere una mamma che non vuole privare il figlio della fatica, ma anzi vuole stare con lui per affrontarla insieme.

Altra figura sorprendente è quella del padre, ma qui ci sarebbe da spoilerare qualcosa del finale: sappiate solo che è un vero e proprio colpo di scena.

Altro merito di Chbosky è quello inoltre di aver descritto una realtà, in questo caso quella dei bambini, con una semplicità e anche con una certa crudezza, tale da ridare una dignità a un mondo spesso e volentieri idealizzato: epurato dai buoni sentimenti, dall’unilateralità di essere solo buoni o solo cattivi, sensibili ma mai saccenti; il mondo dei più piccoli ritrova nel regista una buona descrizione che li mostra nelle loro tante sfaccettature.

Degno di nota è anche il cast di attori: Julia Roberts è la madre di Auggie e di certo per i ruoli drammatici di grande impatto emotivo si conferma anche qui attrice che sa dare ottime certezze; Owen Wilson, all’apparenza quello più fuori luogo, risulta invece perfetto (nonché da riconoscergli anche un certo carisma); bravissimo è il piccolo Jacob Tremblay, nel ruolo del protagonista, già visto nel bellissimo Room, che dimostra anche in questa pellicola di avere tutte le cartoni regola per una carriera da grande del cinema.

Wonder è un film che sa lasciare sensazioni molteplici, ma è anche in grado di affidarci le grandi domande dei bambini senza però preludere la maturità degli adulti desiderosi ancora di crescere in certezze.

di Antonello Di Nunno

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