Finale in sordina e risate a denti stretti …

Gira ancora nelle sale il terzo e conclusivo (forse …) capitolo della trilogia realizzata da Sydney Sibilia. Un film che ad essere sinceri lascia una certa amarezza in chi lo vede. Non è tanto un problema di separazione da un mondo di personaggi, quello della banda degli universitari, che nei precedenti aveva realizzato un vero e proprio feeling tra gli spettatori (come non immedesimarsi e amare il personaggi di Edoardo Leo, Pietro Zinni; precario ma geniale e condannato alla noncuranza delle autorità accademiche), anzi per certi versi con questa nuova pellicola viene la voglia di liberarsene una volta per tutte.

Il cast alla fine è sempre quello dei precedenti con la conferma dei nuovi volti inseriti nel secondo capitolo, eppure questa volta sembra che qualcosa non funzioni. Sarà che i personaggi sono veramente “sempre gli stessi”, senza un minimo di evoluzione nella loro caratterizzazione: è legittimo d’altronde aspettarsela dopo due pellicole che li hanno visti in situazioni differenti, da produttori di droghe a squadra specializzata contro gli spacciatori.

Sono talmente fermi che lo humor “nuovo”, di quelle situazioni paradossali con ricercatori universitari alle prese con un mondo, quello del crimine a loro estraneo, diventa tutto d’un tratto vecchio e trito. Rivedere Pietro Sermonti nei panni dell’antropologo che categorizza i tipi umani per poi imbastire chiacchierate in romanesco non fa più ridere, anzi è prevedibile; Libero De Rienzo che intesse volente o nolente rapporti con gli zingari è qualcosa di già visto; Paolo Calabresi riproposto nella chiave di quello che nel gruppo non ha quasi mai parola in due film può solo che scocciare; lo stesso Edoardo Leo ripropone i discorsi di incoraggiamento con il solito exploit del «siamo le migliori menti in circolazione» e finisce per prendersi gli insulti dei compagni che quel discorso, pure loro, non lo sopportavano più; si salva solo il personaggio del chimico Alberto Petrella interpretato da Stefano Fresi.

Altro giro di pesantezza è l’ennesima riproposizione di flashback del primo e del secondo capitolo: ancora la scena di Zinni che parla con la moglie (Valeria Solarino), o sempre lui che dà ripetizioni in carcere ai vari detenuti, la scena di Petrella che si cappotta con la macchina mentre parla con la escort al telefono, etc.

Mancano le idee forti che si erano viste in Smetto quando voglio e in Masterclass: si ha l’impressione che Sibilia ci sia arrivato vuoto e  stanco a questo terzo capitolo! Le stesse “novità” proposte sono poco appetibili e di nuovo hanno ben poco: la parte dedicata alla fuga dal carcere (che è la più lunga della pellicola) rivede lo schema con Zinni che parla di un piano e nel mezzo il susseguirsi di varie scene con un membro della banda a cui segue una specifica gag comica; i nuovi o ritrovati personaggi, da un buon Neri Marcorè fino all’interpretazione misera di Lo Cascio (già nemico della banda nel secondo), mancano di uno spessore qualitativo diventando insapori; la riproposizione di una cosiddetta “critica” all’attuale sistema universitario è scialba come un sermone populista sul tema medesimo.

Un vero peccato, davvero, per una saga che negli anni è riuscita a incassare più di 7 milioni di euro al botteghino e che aveva generato una comicità per certi versi innovativa su un mondo, quello dei ricercatori universitari, mai parodiato bene fino all’arrivo nelle sale del primo capitolo.

Ad Honorem nella primo weekend è riuscito a strappare una cifra di 1 milione di euro e qualche buona critica, ma con l’arrivo dei giganti, primo fra tutti Star Wars, sarà facile che finisca già nel dimenticatoio.

 

Di Nunno Antonello

Impostazioni privacy